Il regista ha immaginato un’attrice abbandonata, ormai da troppo tempo alle sorti del suo palcoscenico, il vestito è di famose tragedie romantiche, scucito e consunto, tenta di sedurre il suo pubblico come fa un venditore, esprimendo assai spesso inchini e gesti di ringraziamento. Di fronte a lei un avventore, mal vestito, cinico e diffidente, un potenziale cliente, uno spettatore, un casuale, occasionale passante, dall’aspetto un po’ rozzo, ma dal sentire molto contemporaneo e struggente. Un irriducibile viandante solitario del nostro tempo. Un camminatore che vuole camminare lontano dalle folle consumistiche.

Lo spettacolo di Demian Aprea ha questa intenzione bella di recupero dell’immaginativo, e anche il testo è ben strutturato in questa direzione. L’interpretazione dimostra tutto l’amore verso Dalì e così il disgusto per la mediocrità. Un lavoro di sentimento e di gratitudine, evidentemente per il proprio percorso artistico rivolto, che è stato apprezzato proprio per questa sua evidente causa-azione.