Benché ci consideriamo evoluti, non lo siamo. Perché finché pensiamo che queste sono cose che accadono solo in periferia, in luoghi dimenticati da Dio e comunque solo agli altri, non ne usciamo. Finché non riconosciamo che la violenza, non per forza fisica, il maschilismo, non per forza ostentato, sono anche nostri, non risolviamo niente.
Categoria: RELAZIONI
consigliati da noi Self-ie: testimoniare la proprio presenza Quando ci troviamo di fronte a una parola e ne vogliamo conoscere il significato, o i suoi significati, prima di analizzarne le interpreta…
Dopo aver ceduto il posto ad una simpatica vecchietta con gli occhiali spessi come fondi di bottiglia, mi ritrovo ora in piedi, difronte ad uno dei finestrini del vagone, accanto ad un ragazzo coi capelli rasati quasi a zero e un torace scolpito che fa fatica a star dentro la sua t-shirt nera. Sembra un gorilla beringei appena uscito da un centro benessere.
Questa intervista, senza pretese di dare risposte, soluzioni o pareri, vuole solo raccontare di una accoglienza che può e deve essere sempre più praticabile e replicabile, che è stata possibile grazie alle persone che fanno parte di questa storia. Ne emerge una reciprocità naturale che si sviluppa da sola, che arricchisce perché, ad accomunare i protagonisti, c’è una condizione di cui ci si dimentica troppo facilmente: sono tutti esseri umani, siamo tutti esseri umani, e tutti degni di esserlo.
Questo film si evolve come un’opera tragica che però non termina con la morte dell’eroe ma con la sua salvezza. E nella sua salvezza c’è la salvezza di tutti.
I mille giorni di Nina Weksler nel campo di concentramento di Ferramonti, grazie alla regia di Dora Ricca e all’interpretazione di Lara Chiellino, sono stati raccontati in una messa in scena dal titolo Nina. Guten Morgen Ferramonti.
Yuri è cambiato. Sembra triste, dimesso, un po’ appesantito, ma soprattutto è solo, senza la donna dai grandi occhi scuri con la quale sfidava occhiatacce e risatine.
Vivo nel villaggio che vive di vita vera , di allegria e di sogni, di quelle stesse speranze oggi finite nel vortice di un tempo che non avrà memoria.
Questa eterotopia, lo spazio creato in stretta relazione con tutti gli aspetti della nostra esistenza, riflessa nella dimensione digitale, illusoria e controllata potrebbe essere il perfetto sinonimo del termine antropocene, le conseguenze dell’uno e dell’altro fenomeno sono terribilmente impattanti sulla vita del pianeta quanto su quella di ogni singola individualità.
Esistono uomini belli, liberi e magnetici anche nelle prigionie urbane. Uomini che noi, fantomatici e maldestri giudici di tanti talent-show quotidiani, dovremmo imparare a leggere dentro, magari accendendo una X, e magari canticchiando quel motivetto che più o meno fa “Palestina libera, Palestina li-be-ra…”.
Stiamo tutti spalmati e pressati, carne macinata e farcita dentro un vagone ripieno come il budello di una soppressata di Calabria, con tutto il suo armamentario di pepe nero, pepe rosso e peperoncino, secondo i comandamenti scolpiti da qualche barbuto illuminato, sulle sacre e piccanti tavole della tradizione silana di Acri e Serra San Bruno.
In fondo la felicità è una cosa così semplice che a volte può essere dimenticata in uno zainetto. Ma riconoscerla e poi regalarla a qualcuno, vi assicuro, fa volare.