Benché ci consideriamo evoluti, non lo siamo. Perché finché pensiamo che queste sono cose che accadono solo in periferia, in luoghi dimenticati da Dio e comunque solo agli altri, non ne usciamo. Finché non riconosciamo che la violenza, non per forza fisica, il maschilismo, non per forza ostentato, sono anche nostri, non risolviamo niente.
Categoria: DIRITTI
Questa intervista, senza pretese di dare risposte, soluzioni o pareri, vuole solo raccontare di una accoglienza che può e deve essere sempre più praticabile e replicabile, che è stata possibile grazie alle persone che fanno parte di questa storia. Ne emerge una reciprocità naturale che si sviluppa da sola, che arricchisce perché, ad accomunare i protagonisti, c’è una condizione di cui ci si dimentica troppo facilmente: sono tutti esseri umani, siamo tutti esseri umani, e tutti degni di esserlo.
Questo film si evolve come un’opera tragica che però non termina con la morte dell’eroe ma con la sua salvezza. E nella sua salvezza c’è la salvezza di tutti.
Sono andata a Cutro, non c’era più nessuno, eravamo io, un amico in silenzio, atterriti, faceva un freddo e c’era un vento…e poi c’era il suo bambino, che continuava a dire “dobbiamo pregare, ci sono le croci”, il mare era sempre cupo e agitato, e poi sì, c’erano quelle piccole croci fatte con i legnetti senza nome, gli immigrati non portano mai il loro nome qui da noi, e infine piccoli giocattoli sfigurati dalla salsedine in accumulo, come spazzatura qualsiasi trascinata lì dalla corrente. Plastica che resta, come la plastica che affoga tutto ormai. Erano arrivati lì, a riva, e sono morti. Per colpa loro!
Mentre le migliori firme si cimentano in teorie che sfociano nel complottismo politico, una cosa ci appare ormai evidente: siamo alla fine della tv culturale. Attenzione: non quella di Rai storia e Rai 5, e meno male che esistono, no. Ma quella indirizzata al grande pubblico.
Un declino annunciato già con lo spostamento di Fazio dalla rete più generalista a quell’avamposto di resistenza culturale che è Rai3.
Alla base di ogni interrogativo possibile c’è la questione del perché soprattutto le donne vengano colpevolizzate per la loro libertà sessuale, apparentemente auspicata, anche dagli uomini, e invece sempre più spesso mortificata, abusata in rapporti violenti di prevaricazione.
Il comportamento virtuale di ognuno alimenta, oppure no, la comunicazione violenta comune, stabilendo anche il significato che le diamo, e ciò oltre il profilo più o meno patologico soltanto di qualcuno. Dovremmo allora cominciare a capire che presto sarà davvero difficile distinguere la violenza collettiva dalla violenza individuale, dove i social network si attesteranno sempre di più come moltiplicatori di umori, frustrazioni e rabbia, invece che di stati d’animo ed emozioni positivi.
La verità è che, anche per chi non credesse in Dio, forse c’è un modo del tutto nuovo e narrativo per rimanere eternamente nell’al di qua. O forse c’è sempre stato, soltanto che adesso ha semplicemente cambiato il suo supporto. Non più lapidi ed epitaffi, scritti e libri, ma stati d’animo (post)mediatici e bacheche (diari personali) sempre più dinamiche dove incontrarsi anche dopo morti.
La nostra Vignetta per il nuovo parlamento. Di Giulio Laurenzi
Chiara Merlo spiega come e soprattutto perché è nato Angelina, lo short film da lei stessa sceneggiato, diretto da Giordano Affolti che tratta del rapporto tra sesso e consenso, in senso ampio, e, nello specifico, di sfruttamento delle donne, spesso bambine, buttate in strada e costrette a fare sesso per il piacere e il denaro altrui.