Questa intervista, senza pretese di dare risposte, soluzioni o pareri, vuole solo raccontare di una accoglienza che può e deve essere sempre più praticabile e replicabile, che è stata possibile grazie alle persone che fanno parte di questa storia. Ne emerge una reciprocità naturale che si sviluppa da sola, che arricchisce perché, ad accomunare i protagonisti, c’è una condizione di cui ci si dimentica troppo facilmente: sono tutti esseri umani, siamo tutti esseri umani, e tutti degni di esserlo.

Fahrenheit 451, presentato come progetto multimediale/melologo sci-fi, è uno spettacolo di altissimo livello, dove musiche, proiezioni e interpretazioni attoriali interagiscono in modo fluido e organico per restituire al pubblico uno specchio agghiacciante alla nostra contemporaneità.

Un tempo era più facile, l’intellettuale era colui che leggeva, scriveva e aveva una visione del mondo e del futuro in un’epoca dove si leggeva, scriveva e si puntava sulla scolarizzazione. Un’epoca in cui esisteva l’ascensore sociale, dove il contadino e l’operaio si indebitavano per far studiare i figli che diventavano avvocati, dottori o, appunto, intellettuali. Un’epoca in cui la laurea era considerata un punto di arrivo, un traguardo raggiunto da un’intera famiglia.