Molto più di un cavallo di battaglia, Migliore è per Valerio un pezzo di cuore che sanguina al pensiero di un amico che non c’è più, Mattia Torre, regista e autore di questo affresco scritto apposta per lui, cucitogli addosso come un perfetto abito di sartoria.
Storia comica e tragica di un uomo ordinario che paga il fio di una buona azione dai risvolti infelici, il monologo è in realtà una polifonia di voci che offre il fianco a un virtuosismo da interprete navigato.

Un piccolo evento che ancora una volta testimonia del potere salvifico della scrittura. Del suo essere luogo di libertà e di riscatto, in cui tutto è possibile, tutto è lecito, e i mostri arretrano perché il tuo sguardo fattosi lucido incute loro paura.
Si tratta di Una culla sbagliata, presentato al Teatro Altrove di Roma dal 10 al 12 gennaio 2025.
Tratto dal bestseller autobiografico di Jeanette Winterson, Perché essere felice quando puoi essere normale? vede in scena Ottavia Bianchi, anche curatrice dell’adattamento e coregista insieme a Giorgio Latini.

Cahiers d’Écriture I e II sono due studi preparatori per À la Recherche du Temps Perdu di Marcel Proust che si annuncia composta da tre parti collegate, da rappresentarsi separatamente in tre giornate.
Un grande evento, nella fattispecie detto “Accadimento drammatico”, previsto per il 2027 e che quindi si immagina fin d’ora frutto di un lento e capillare processo immersivo nell’ “opera cattedrale”.

Un Misantropo che più Molière non si può, quello allestito dal Teatro Franco Parenti di Milano, al secondo anno di repliche. Mi viene da dire finalmente un classico fatto come un classico. Uno di quei lavori che non ti aspetteresti e che quindi ti stupiscono. Lavorato di cesello, dalla traduzione alle luci al trucco e parrucco ai minimi accessori, quelli che magari nemmeno si distinguono già dalla quarta fila.

Corpi. Agglomerati di corpi dai quali si staccano scampoli organici che poi si scoprono interi, figure erette che danno inizio a una danza tribale scandita dal battito dei piedi, sempre più insistente e frenetico, sostenuto dal rumore forte dei respiri e da versi primordiali che segnano il tempo. Per poi riaccasciarsi a terra, sfiniti, a ricostituire con la confusione dei corpi un’interezza.

Il Bardo ne ha viste di tutti i colori e di tutti i colori ne ha sopportate, nascosto dietro riscritture che se la cavano con un liberamente tratto da o liberamente ispirato a. Liberamente, molto liberamente, licenziosamente.
Perché Shakespeare non è soltanto il gigante di cui fregiarsi almeno una volta nella carriera ma è soprattutto un banco di prova a cui non ci si vuole sottrarre.
Ma ben venga chi si industria a raccogliere le sfide, cercando di fare di necessità virtù.
Questa volta la sfida l’ha raccolta un giovane regista, Luigi Siracusa…

Già soltanto il titolo. Femminaccie impudentissime. Chi può non sentirsi attratto da un simile titolo su una copertina che riproduce la caricatura di una femmina agghindata fine ottocento che impugna una pistola? Bel contrappasso nei confronti di colui che senza ombra di ironia apostrofò così le infermiere volontarie che prestavano soccorso ai soldati feriti durante i due eroici anni della Repubblica Romana.
Colui è Giuseppe Boero, gesuita, bontà sua, e il libro in questione è il risultato di una meticolosa e certosina ricerca condotta da Cinzia Dal Maso, giornalista e scrittrice, membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Internazionale di Studi Giuseppe Garibaldi.

Presentato al Teatro San Ferdinando per la stagione del Teatro Nazionale di Napoli, Cinemamuto  vive anche di frammenti di film autografi forniti dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e di una colonna sonora composta ad hoc da Giovanna Famulari che alterna brani classici a invasioni contemporanee di musica elettronica, citando volontariamente questo tempo presente. Il risultato è  un lavoro collettivo che ha il merito di far conoscere una figura di donna e di artista pressoché dimenticata dalla storia del cinema e di portare e riportare all’attenzione del pubblico argomenti che oggi suonano come un’allerta.

Arriva il teatro, arriva la giostra. Quando uno spettacolo di Giancarlo Sepe sta per andare in scena nel suo magico spazio, in quel sottosuolo in costante fermento che è il Teatro La Comunità, nel cuore di Trastevere, mi sale la stessa eccitazione di quando da bambina aspettavo le giostre per il Santo Patrono.
Non so come sarà il nuovo spettacolo, ma so che l’incantamento è assicurato. Non sono mai stata smentita. Lo stand by dalla vita quotidiana è totale e lo è in modo diverso da come accade  o dovrebbe accadere sempre in teatro.

La casa nova, commedia della maturità composta in dialetto veneziano, è riproposta fino a domenica 24 marzo 2024 al Teatro India di Roma nell’adattamento e traduzione di Paolo Malaguti e la regia di Piero Maccarinelli che ha brillantemente diretto una compagnia di giovani attori diplomati all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico, scortati da un generoso Stefano Santospago, che sembra uscito dritto dritto dai Rusteghi.