Un Misantropo che più Molière non si può, quello allestito dal Teatro Franco Parenti di Milano, al secondo anno di repliche. Mi viene da dire finalmente un classico fatto come un classico. Uno di quei lavori che non ti aspetteresti e che quindi ti stupiscono. Lavorato di cesello, dalla traduzione alle luci al trucco e parrucco ai minimi accessori, quelli che magari nemmeno si distinguono già dalla quarta fila.

Corpi. Agglomerati di corpi dai quali si staccano scampoli organici che poi si scoprono interi, figure erette che danno inizio a una danza tribale scandita dal battito dei piedi, sempre più insistente e frenetico, sostenuto dal rumore forte dei respiri e da versi primordiali che segnano il tempo. Per poi riaccasciarsi a terra, sfiniti, a ricostituire con la confusione dei corpi un’interezza.

Stefano Massini propone al Teatro Strehler di Milano uno spettacolo tratto dai discorsi e dalle conversazioni di Adolf Hitler, ma soprattutto dal Mein Kampf, opera, scritta in carcere nel 1924 dopo il fallito “putsch della birreria”, in cui il futuro Fuhrer e Cancelliere del Reich narra, nella prima parte, la sua autobiografia, mentre, nella seconda parte, espone il programma del movimento nazionalsocialista. Lo spettacolo è recitato dallo stesso Massini che, accompagnato dagli apporti sonori scelti da Andrea Baggio, si muove su una struttura che evoca un foglio di carta sospeso, a ricordare che anche il Mein Kampf è fatto di parole, che però hanno avuto effetti nefasti per milioni di persone.

Il Bardo ne ha viste di tutti i colori e di tutti i colori ne ha sopportate, nascosto dietro riscritture che se la cavano con un liberamente tratto da o liberamente ispirato a. Liberamente, molto liberamente, licenziosamente.
Perché Shakespeare non è soltanto il gigante di cui fregiarsi almeno una volta nella carriera ma è soprattutto un banco di prova a cui non ci si vuole sottrarre.
Ma ben venga chi si industria a raccogliere le sfide, cercando di fare di necessità virtù.
Questa volta la sfida l’ha raccolta un giovane regista, Luigi Siracusa…

Sul lato della scena Paola Minaccioni accompagnata da quattro musicisti (Valerio Guaraldi – arrangiamenti e chitarre; Claudio Giusti – sax tenore, contralto e flauto; Giuseppe Romagnoli – contrabbasso e basso elettrico; Matteo Bultrini – batteria e percussioni), un’atmosfera intima e di racconto, una voce fedelmente rauca, rotta a volte da un groppo in gola, perché davvero la vita della Magnani somiglia a tante vite e a tante vite di attrici, e forse Paola l’ha fatta magnificamente sua.

Eppure, se solo sapessimo veramente che le cose brutte della nostra vita le racconta il teatro, e che ci difende nel raccontarle! Il teatro è onesto intellettualmente sennò muore, parla alla comunità per far comprendere, parla “a noi tutti” come dice Eduardo per i nostri figli. E solo se si prova il dolore degli altri si comprende veramente il proprio. Il teatro permette questo: ri-presentare (rappresentare) a se stessi il dolore per la vita, com’è.

Aspetta. Ferma, ferma, come sarebbe a dire che è finita? E l’amore, la passione e tutto il resto? No, dico, dove ti credi di andare? Cristo santo bambina, non puoi farmi questo ora. Proprio adesso che stavamo per mettere in scena il numero con il nano e tu vestita da babbo natale con il culo di fuori e una renna di peluche a grandezza naturale. Roba forte, da spellarsi le mani, non puoi farmi questo. ..

Insomma, il fatto è che decido di sbattezzarmi. Mi informo e scopro che devo semplicemente mandare una raccomandata con ricevuta di ritorno al parroco della parrocchia dove sono stato battezzato decenni fa, dichiarando che rinuncio ai sacramenti ma, con mia grande sorpresa, scopro che la chiesa è sconsacrata da anni e che adesso ci fanno un mercatino agroalimentare ogni martedì e concerti di musica medievale. Il mio parroco invece, Don Prospenzo, alla veneranda…