The old oak di Ken Loach

Dell'inumano varcando il confine / Conoscemmo anzitempo la carogna Che ad ogni ambito sogno mette fine / Che la pietà non vi sia di vergogna

(Recitativo, Fabrizio De André)

Poche righe su un film immenso, perlopiù destinate a chi lo ha già visto. The old oak di Ken Loach, in questi giorni nelle sale, è quel film immenso. Dove confluisce ad un tempo empietà e pietas o, meglio, dove l’empietà si sublima in pietas. Pare impossibile invece. Invece accanto alla fotografia di un’umanità cattiva e incattivita, resa con il suo solito occhio leale: leale, non cinico, un occhio capace di guardare le derive dell’animo umano così come sono, dure, crude, spigolose, ripugnanti, Loach ci fa vedere che la pietas è ancora possibile. Anche laddove non te l’aspetti, anche laddove avresti voluto, tu spettatore, punire i colpevoli, vederli irrisi almeno alla fine, in cerca di una catarsi che invece il regista non ti concede.

Succede proprio alla fine, quando il buono non rivolge al traditore nemmeno uno sguardo: lo sguardo che tu invece ti saresti aspettato.

L’amico di un tempo che si è unito ai cattivi, che è stato il braccio servile di menti grevi e rovinose, colui che ha distrutto il tuo sogno e mandato in frantumi la tua fatica di esistere, colui che ha disprezzato la tua bellezza e la tua resistenza, proprio lui, torna a Canossa con tutto il peso della vergogna. Lui sa che tu sai perché, questo sì, glielo hai detto. Soltanto questo gli hai detto: io so. 

Eppure lui ritorna e noi lo vediamo avanzare a passo lento, lo sguardo perduto, incredulo, che sovrasta la folla. La macchina da presa riprende il suo disagio, forse ne intuisce il ripensamento e lo immortala in mezzo a gente partecipe senza pesi sul cuore. Sul tuo volto segnato da burbero buono, lo stupore di un angelo che voleva morire. Un angelo sconfitto che invece sta lì, assorto e muto a guardare al futuro: c’è un altro angelo accanto che ti ha afferrato le ali  all’ultimo istante. Era già successo. Forse era scritto che sarebbe successo di nuovo.

Tu continui a osservare la folla e noi non capiamo se tra loro lo  scorgi, il tuo traditore. Capiamo che lui non osa guardarti, chissà mai i pensieri che si aggrovigliano dentro un amico che ha così brutalmente tradito un amico.  È immobile dietro la carrozzella della moglie inferma e incarica il figlio di portare un fiore, lui no, non si muove, lui non osa spostarsi.

Tu invece continui a osservare la folla che cresce e cresce, donne col chador e donne bionde come svedesi,  uomini, ragazzi, bambini per mano. Portano fiori, abbracciano, baciano, si inchinano. Omaggiano la famiglia di un morto. Omaggiano la famiglia di uno straniero. Di uno straniero morto ammazzato in una galera siriana. Tu li guardi e taci, sempre più incredulo, felice, forse, senza ancora saperlo. 

Però non guardi il tuo traditore. Perché? Perché non lo affronti? Perché non  gli ti pari davanti e lo fissi negli occhi? Lui sa che tu sai. Sarebbe soltanto un po’ di giustizia affidata a uno sguardo. Almeno uno sguardo. Faccela vedere la maledetta reazione di un traditore quando lo guardi negli occhi. Faccela assaporare che lo vogliamo sul rogo, o appeso a testa in giù, con le vesti stracciate, o  irriso da quei poveri diavoli in processione che il suo gesto meschino ha privato di un pasto caldo due sole volte la settimana. Perché non lo fai? Perché non ci fai tirare quel benedetto agognato sospiro di sollievo che ci libera quando vediamo il colpevole finalmente punito? Perché?

Perché è subentrata la pietas a correggere il tiro. Ed è arrivata prima di noi, che non l’avevamo nemmeno prevista. Prima di noi, che ci aspettavamo il ludibrio, è arrivata la pietas. Quella cosa che ti fa voltare lo sguardo di fronte al ladro e all’assassino, quel sentimento di sovrumana potenza che se mai ti coglie non lo sai riconoscere. Senti soltanto una fitta nel petto che chiami vergogna per interposta persona. Ma forse è lei: quella cosa che speri soccorra anche chi allontanerà lo sguardo da te, se mai sarà. Quando sarà.

La pietas di fronte al colpevole che non sdogana la colpa ma concede al colpevole una possibilità di riscatto. E con lui, attraverso di lui, i colpevoli tutti.

Io credo che in una storia di immigrazione come quella che Loach racconta in questo film, tra profughi siriani che cercano accoglienza o almeno un rifugio in un paese straniero, nell’Inghilterra di oggi dove la vita si consuma nell’unico pub di un piccolo paese abbandonato da Dio, il vero momento di pietas avvenga tra due vecchi amici che la vita quotidiana aveva allontanato.

Il buono e l’altro. L’altro che si riscatta dopo avere tradito ma porta su di sé la trasformazione. A lui si guarda per uscirne ottimisti, per dirsi che forse ce la si può ancora fare.  

di Alessandra Bernocco