Cinemamuto

La censura è sempre uno strumento politico, non è certo uno strumento intellettuale. Strumento intellettuale è la critica, che presuppone la conoscenza di ciò che si giudica e combatte. Criticare non è distruggere, ma ricondurre un oggetto al giusto posto nel processo degli oggetti. Censurare è distruggere, o almeno opporsi al processo del reale.

(Federico Fellini)

Il fratricidio no, è amorale. Il delitto d’onore invece sì, perché se la moglie tradisce, il marito può farla fuori facendola franca. Lo dice la legge. Siamo in pieno Ventennio, in una città che ribolle di estro e vitalità creativa, la Napoli del teatro ma anche del cinema, città per indole e storia refrattaria a sottostare alle regole ottuse imposte dal regime. E a farne i conti, a pagarne le spese, è soprattutto la donna. In particolare una donna che nel panorama cinematografico partenopeo cerca di emergere, stenta ad emergere, prova a resistere per non affondare. Inaffondabile dunque, più che emergente, per ragioni che esulano da talento  e merito, Elvira Notari fu attrice, sceneggiatrice e soprattutto regista. Oltreché produttrice, insieme al marito, per la Dora Film.

Una donna in un mondo di uomini, libera, colta, coraggiosa e determinata, la pioniera del cinema muto, l’interlocutrice di elezione degli italiani del sud emigrati oltreoceano che nei suoi film respiravano un po’ di aria di casa, aria dei bassifondi, ma sempre di casa. “I vostri film sono per me una consolazione”, le scriverà nel 1926 una donna emigrata.

I bassifondi, la povera gente, le viscere  di una città resa lealmente, così com’era, senza ipocrisie servili e banalizzazioni oleografiche, erano l’oggetto dei suoi melodrammi e dei suoi documentari. Lotte intestine tra famiglie, tradimenti, contese, uccisioni, ma tutto sempre sottoposto alla regola ferrea di “chi può ammazzare chi”.

Uomini e donne reali, catturati dalla macchina da presa e da essa immortalati, che parlano e gridano attraverso didascalie altrettanto reali, ovvero in dialetto. Ma se la voce di quella gente non parla italiano, è la censura di regime a non ammettere didascalie in napoletano. E allora il visto viene ogni volta rinviato.

Il neorealismo ante- litteram di Elvira Notari non piaceva al regime e quelle stesse teste che qualche anno più tardi avrebbero ribattezzato Courmayeur con Cuor Maggiore e il cocktail con polibibita pretendevano da lei didascalie in italiano.

Ma non è soltanto una questione di lingua. Perché, come dirà Elvira al censore, “togliendoci la lingua, ci togliete la voce”. Il pensiero, la coscienza critica. E “va a finire che ci farete finire a pensare tutti con la stessa capa”.

Sono battute da Cinemamuto, il testo di Roberto Scarpetti per lo spettacolo diretto da Gianfranco Pannone con Iaia Forte e Andrea Renzi, due voci in conflitto che dal Ventennio fascista, il primo ventennio della nostra deriva, arrivano fino a noi e ci parlano chiaro.

Presentato al Teatro San Ferdinando per la stagione del Teatro Nazionale di Napoli, Cinemamuto  vive anche di frammenti di film autografi forniti dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e di una colonna sonora composta ad hoc da Giovanna Famulari che alterna brani classici a invasioni contemporanee di musica elettronica, citando volontariamente questo tempo presente. Il risultato è  un lavoro collettivo che ha il merito di far conoscere una figura di donna e di artista pressoché dimenticata dalla storia del cinema e di portare e riportare all’attenzione del pubblico argomenti che oggi suonano come un’allerta.

E che emergono dal fitto dialogo tra Elvira e il censore, un personaggio sfuggente che dietro la facciata perbenista e i toni sempre in bilico tra il persuasivo e il ricattatorio, tra costrizione e corruzione morale, nasconde il segreto  di essere omosessuale: colpa imperdonabile e ancor più inconfessabile poiché  “tutto ciò che è deviante deve rimanere nascosto”.

E allora basta non dichiararsi e tirare a campare, da solo, tra la desolazione di una casa disabitata e l’anonimato di un pubblico ufficio dove fare eseguire ordini inderogabili. Tra la vestaglia e la divisa, verrebbe da dire, disperazione di dentro e intransigenza di fuori. Perché per essere intransigente tocca essere inappuntabile o, almeno, sembrarlo.

Eh sì, “cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!”. Ancora oggi c’è qualche spiritello che prova a risorgere nelle spoglie risibili di chi va blaterando alle masse che “termini che fino a pochi anni fa erano nei nostri dizionari: pederasta, invertito, frocio, ricchione, buliccio, femminiello, bardassa, caghineri, cupio, buggerone, checca, omofilo, uranista, culattone,  sono ormai termini da tribunale”.

Da tribunale. Perché ieri invece era la censura, le direttive a priori, la propaganda gradassa attraverso modelli farlocchi da somministrare alle masse, barattati come mezzi di elevazione. Tutto il resto è decadenza se non blasfemia e chi non si adegua è un sovversivo: un antifascista.

“Identità dove c’è differenza” dice il censore. “Obbedienza dove c’è libertà”, replica Elvira. E se il censore invoca il bene comune, Elvira domanda cosa sia, questo bene comune.

L’Italia, la bandiera, Dio Patria e Famiglia, la purezza della lingua, la purezza della razza. Magari anche l’epurazione. I beni al sole. E perché no? Giulio Cesare e Giovanni Dalle Bande Nere.

Il bene comune. Già, ma come perseguirlo, questo bene comune, attraverso il cinema e la sua arte? Ma è ovvio: per cominciare, tagliare, modificare, ricalibrare; “eliminare il fratricidio e sostituirlo con un tollerabile delitto d’onore”,  epurare il film da elementi che offendono la dignità del Paese e la fiera italianità del suo popolo, e, soprattutto, fare firmare i film dal marito. Un escamotage infallibile per dribblare la censura, grazie alla riconosciuta “autorevolezza di un uomo”. Allora sì, il film si può fare. Anzi no: la pellicola.

CINEMAMUTO
di Roberto Scarpetti
regia Gianfranco Pannone
con Iaia Forte, Andrea Renzi
scene Luigi Ferrigno e Sara Palmieri
costumi Grazia Colombini
disegno luci Carmine Pierri
musiche Giovanna Famulari
montaggio video Erika Manoni

direttore di scena Alessandro Amatucci
assistente regia Manuel Di Martino
assistente alle scene Michele Lubrano Lavadera
assistente costumi Viola Taddei
macchinista Francesco Scognamiglio
video Alessandro Papa
elettricista Giuseppe Di Lorenzo
fonico Daniele Piscitelli
sarta Daniela Guida
foto di scena Ivan Nocera

i frammenti dei film di Elvira Notari sono stati forniti dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale

di Alessandra Bernocco