“L’età è come l’alcol: c’è chi la regge e chi no”. La battuta è di una deliziosa signora che potrebbe essersi scolata un litro di whisky senza perdere un colpo. Si chiama Louise Wilberforce, di professione affittacamere. È lei la protagonista de La signora omicidi, lo spettacolo ispirato al racconto di William Rose, Lady Killers, da cui il film omonimo di Mackendrick, adattato per la scena da Mario Scaletta e diretto da Guglielmo Ferro, al Teatro Quirino di Roma fino a domenica 16 marzo.
Nel ruolo una Paola Quattrini che non so dire se sempre più sorprendente oppure no, perché questa magnifica signora del nostro teatro ormai ci ha a tal punto abituati a vederla ballare saltare fare quasi spaccate piroettare sul palcoscenico che non ci sorprendiamo più.
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Il grande vuoto di Fabiana Iacozzilli e terzo capitolo della Trilogia del vento dopo La Classe e Una cosa enorme.
Un viaggio feroce e pieno di grazia attraverso le vicende di una famiglia normale che si ritrova a vivere una situazione anormale, cercando di normalizzarla come si può. Di renderla allegra e inoffensiva per quanto è possibile, facendo in modo che il dolore sia sopportabile.
Fresco – o forse si potrebbe addirittura scrivere “freschissimo”, dato che le notizie al proposito sono state trasmesse worldwide direttamente dagli Stati Uniti d’America lo stesso giorno in cui la pellicola ha debuttato sugli schermi italiani – di ben 8 nomination ai prossimi Academy Awards, il film diretto da James Mangold ha la durata di 140’ ed è interpretato, nei ruoli principali, da Timothée Chalamet, Edward Norton, Monica Barbaro e Elle Fanning.
Molto più di un cavallo di battaglia, Migliore è per Valerio un pezzo di cuore che sanguina al pensiero di un amico che non c’è più, Mattia Torre, regista e autore di questo affresco scritto apposta per lui, cucitogli addosso come un perfetto abito di sartoria.
Storia comica e tragica di un uomo ordinario che paga il fio di una buona azione dai risvolti infelici, il monologo è in realtà una polifonia di voci che offre il fianco a un virtuosismo da interprete navigato.
Un piccolo evento che ancora una volta testimonia del potere salvifico della scrittura. Del suo essere luogo di libertà e di riscatto, in cui tutto è possibile, tutto è lecito, e i mostri arretrano perché il tuo sguardo fattosi lucido incute loro paura.
Si tratta di Una culla sbagliata, presentato al Teatro Altrove di Roma dal 10 al 12 gennaio 2025.
Tratto dal bestseller autobiografico di Jeanette Winterson, Perché essere felice quando puoi essere normale? vede in scena Ottavia Bianchi, anche curatrice dell’adattamento e coregista insieme a Giorgio Latini.
Cahiers d’Écriture I e II sono due studi preparatori per À la Recherche du Temps Perdu di Marcel Proust che si annuncia composta da tre parti collegate, da rappresentarsi separatamente in tre giornate.
Un grande evento, nella fattispecie detto “Accadimento drammatico”, previsto per il 2027 e che quindi si immagina fin d’ora frutto di un lento e capillare processo immersivo nell’ “opera cattedrale”.
Un Misantropo che più Molière non si può, quello allestito dal Teatro Franco Parenti di Milano, al secondo anno di repliche. Mi viene da dire finalmente un classico fatto come un classico. Uno di quei lavori che non ti aspetteresti e che quindi ti stupiscono. Lavorato di cesello, dalla traduzione alle luci al trucco e parrucco ai minimi accessori, quelli che magari nemmeno si distinguono già dalla quarta fila.
Corpi. Agglomerati di corpi dai quali si staccano scampoli organici che poi si scoprono interi, figure erette che danno inizio a una danza tribale scandita dal battito dei piedi, sempre più insistente e frenetico, sostenuto dal rumore forte dei respiri e da versi primordiali che segnano il tempo. Per poi riaccasciarsi a terra, sfiniti, a ricostituire con la confusione dei corpi un’interezza.
Parthenope, ultima avventura cinematografica di Paolo Sorrentino, è un quadro dipinto con i colori del simbolismo e i pennelli del surrealismo. Una pellicola che diventa, per dirla con le parole di Aristotele, poesia che dice piuttosto gli universali e non i particolari come invece fa la storia. La stessa musica incarna, evocandole, quelle immagini inconsce che il nostro linguaggio non riesce esprimere. Sorrentino procede elaborando esperienze e pensieri che spostano la nostra percezione su un piano simbolico, una involontaria ricerca antropologica che incarna una vera e propria Foresta dei simboli, in cui riti e miti diventano l’unità fondamentale, perché l’uomo, come afferma il filosofo tedesco Ernest Cassier, costruisce il mondo attraverso i suoi processi di simbolizzazione.
Sul lato della scena Paola Minaccioni accompagnata da quattro musicisti (Valerio Guaraldi – arrangiamenti e chitarre; Claudio Giusti – sax tenore, contralto e flauto; Giuseppe Romagnoli – contrabbasso e basso elettrico; Matteo Bultrini – batteria e percussioni), un’atmosfera intima e di racconto, una voce fedelmente rauca, rotta a volte da un groppo in gola, perché davvero la vita della Magnani somiglia a tante vite e a tante vite di attrici, e forse Paola l’ha fatta magnificamente sua.