In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario
(George Orwell)
Regia di Michele Altamura e di Gabriele Paolocà
Tratto dal romanzo La ferocia di Nicola Lagioia (vincitore nel 2015 dei premi Strega e Mondello) l’omonimo spettacolo teatrale della compagnia VicoQuartoMazzini, ha debuttato al Teatro Vascello di Roma nell’ambito di Romaeuropa Festival. La regia è curata da Michele Altamura e Gabriele Paolocà che ne sono anche interpreti insieme a un valido cast di attori. La drammaturgia è frutto dell’ eccelso lavoro di Linda Dalisi che è riuscita a forgiare dalle pagine del complesso romanzo di Lagioia un agile dramma contemporaneo che penetra nelle pieghe di una società avida e corrotta, pronta a qualsiasi crimine, pur di ottenere successo e denaro. I personaggi non hanno valori morali, non provano sentimenti e ottengono quello che vogliono pagando mazzette a tutto spiano. Si assiste al trionfo del neo-capitalismo e al crollo totale dell’architettura politica, etica e culturale, non solo del nostro paese, ma dell’Occidente intero.
La drammaturga ha eliminato le parti più descrittive del romanzo, ha snellito passi parentetici e flashback, per restituire alla scena lo scheletro tragico della vicenda che coinvolge la famiglia di Vittorio Salvemini, costruttore edile corrotto che ha fatto montagne di soldi attraverso truffe colossali. Ha calato cemento in modo illegale non solo in Puglia, ma anche in diverse parti del mondo. Con lui vivono la moglie Annamaria fragile e accondiscendente, e il figlio Ruggero, dedito agli studi e alla sua carriera di oncologo. La figlia Clara è appena morta, apparentemente suicida, ma la sua assenza è sempre presente in scena dove i personaggi si rivolgono a lei, nei loro ricorrenti monologhi interiori. Soprattutto Michele, il fratellastro pazzo che torna da Roma a metà spettacolo, per far chiarezza sulla vita e sulla morte di Clara. Lo spettacolo assume la veste di un giallo che tiene il pubblico con il fiato sospeso, soprattutto nella seconda parte.
I registi introducono nella pièce un personaggio giornalista/narratore, un certo Sangirardi, che se ne sta nella sua piccola cabina di registrazione di un podcast, tutto intento a ricostruire le vicende scellerate della famiglia Salvemini con l’aiuto di Michele. Entra ed esce dalla cabina adiacente la scena vera e propria, come volesse spiare l’andamento del racconto. L’impianto scenico di Daniele Spanò mostra due algide porte scorrevoli che si affacciano all’interno minimalista della villa lussuosa di Vittorio Salvemini, caratterizzato da pareti bianche e, all’occorrenza da un lungo tavolo da pranzo. In fondo, sulla sinistra, si staglia un esterno dove spicca la presenza di enormi piante di mais. Fortemente trascurate, a poco a poco si sfrondano dei loro fusti che vengono trascinati all’interno dai più giovani, trasformandosi in un efficace correlativo oggettivo delle loro vite disperate. Il lurido speculatore non sa far crescere bene le sue piante come non ha saputo tirare su i figli con l’amore dovuto. Tutti provano rancore nei suoi riguardi, anche il giovane vedovo di Clara, per non parlare della moglie, più volte tradita e mai amata.
La storia ha inizio con la morte e il funerale di Clara. Il padre fa ipotesi su come nascondere la vera causa del decesso della figlia che di certo non si è suicidata. E’ molto pensieroso ma non mostra alcun segno di sofferenza. Sa la verità, sa che la figlia andava a letto con i suoi amici plenipotenziari che, magari per riconoscenza, lo aiutavano e ancora lo aiutano a non far trapelare i suoi plurimi imbrogli. Sa che si faceva di coca e che partecipava a festini di ogni genere. Ma quello che più gli interessa è salvare la facciata perbene della sua famiglia, una famiglia distrutta dalla mancanza del calore dell’affetto e paralizzata dai ricatti, diretti o indiretti, del padre. Anche Ruggero non sembra tanto afflitto e, forse neanche la madre che elenca tutti i torti subiti da Clara in un monologo sussurrato di grande impatto.
Non c’è vitalità sulla scena e la recitazione è talmente fredda da rasentare l’astrazione. Gli attori sono tutti molto bravi e l’effetto straniante della loro recitazione è sicuramente voluto, non solo per rimarcare l’ anaffettività dei personaggi, ma anche per non coinvolgere emotivamente il pubblico chiamato a riflettere sui mali della contemporaneità.
Tutti indossano una maschera da benpensanti , soprattutto quelli che hanno più potere, come il presidente della Corte d’Appello del Tribunale di Bari, il direttore generale dell’Università e l’ex sottosegretario alla Giustizia. Salvemini li invita a casa e continua a fare affari grazie alla loro protezione. E’ stato denunciato per aver permesso di sotterrare rifiuti tossici sotto il terreno del complesso residenziale di Porto Allegro. Ma gli basta invitare a colazione l’ex sottosegretario alla Giustizia per farla franca, a discapito della salute delle persone e dell’ambiente . Il tale. che è stato amante della figlia morta, sistemerà tutto.
La depravazione lercia e putrida della società neo-capitalista non è mai stata rappresentata a teatro in modo così esplicito e veritiero. Non sembra ci siano vie d’uscita e chi si ribella è perduto . Come Michele, l’amato fratellastro di Clara con la quale andava molto d’accordo. Da piccolo ha tentato di dar fuoco alla casa opulenta dei Salvemini ed è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico e sottoposto a elettroshock. E’ scappato a Roma dove ha tirato avanti scrivendo qualche articoletto di giornale. E’ uno spirito libero che torna per sapere e alla fine scopre la verità della morte della sorella. Seminuda e insanguinata è stata uccisa sulla provinciale che collega Bari a Taranto. Il testimone/vittima ha perso una gamba nell’incidente e Salvemini gli ha chiuso la bocca regalandogli una casa senza ascensore che lui continua a reclamare. Unico paradosso comico in una tragedia che non lascia sperare un futuro meno peggio.
Le fortune della famiglia crollano e Salvemini viene colpito da un cancro, ma la corruttela di chi detiene qualsiasi tipo di potere, quella, non si sradicherà mai.
L’intero spettacolo, con le musiche elettroniche di Pino Basile e con l’eliminazione delle note folkloristiche legate al Sud, rispecchia il nostro presente con feroce fedeltà, lasciando un terribile ma necessario amaro in bocca agli spettatori.
di Susanna Battisti
scheda tecnica La ferocia Ideazione VicoQuartoMazzini Regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà Adattamento Linda Dalisi Con Roberto Alinghieri, Michele Altamura, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza,Gabriele Paolocà, Andrea Volpetti Scene Daniele Spanò Luci Giulia Pastore Musica e sound design Pino Basile Costumi Lilian Indraccolo Aiuto regia Jonathan Lazzini Realizzazione scenografie Officina Scenotecnica Gli Scarti Direttore di scena Daniele Corsetti Progetto audio Niccolò D’Ippolito Foto Valerio Polici Grafica Leonardo Mazzi. Consulenza artistica Gioia Salvatori Produzione SCARTI Centro di Produzione/Teatrale d’innovazione/ElsinorCentro di Produzione Teatrale/LAC Lugano Arte e Cultura/Romaeuropa Festival/Tric Teatri Di Bari/Teatro Nazionale di Genova
Visto al Teatro Vascello di Roma il 2 ottobre 2023