“Opera Pia” di Gianfranco Vergoni con Loredana Piedimonte e la regia di Nicola Pistoia

Non si nasce donne: si diventa. [On ne naît pas femme: on le devient.]

Oggi lo scontro assume una fisionomia diversa: invece di voler rinchiudere l’uomo in una prigione, la donna si sforza di sfuggirne; non cerca più di trascinarlo nel regno dell’immanente, ma di emergere, lei, alla luce del trascendente. Adesso l’atteggiamento del maschio, che non vede di buon occhio queste iniziative, crea un nuovo conflitto.

(Simone de Beauvoir)

In un teatro piccolo ed esclusivo, simbolico del suo nome e dei suoi luoghi, mi appare sullo sfondo, nero, sopra il parquet, una donna iconica del mio tempo che racconta il suo matrimonio fallito con Dario, e con ancora in mano le pesantissime buste della spesa.

Non ci sarebbe niente da ridere, perché lei è arrabbiata, triste, delusa, amareggiata, depressa, sola, se non fosse che, su un testo teatrale duro e provocatorio, con slang aspro popolare napoletano, c’è il lavoro magnifico e prezioso della regia cinico romantica romana di Nicola Pistoia, a rendere il tutto sobrio e leggero, un interno familiare consueto, riconosciuto, ma non più accettabile, su cui poter anche ironizzare e sorridere, proprio nel tentativo di superarne l’aggressivo e il violento, senza sottovalutare, ma spingendo al reattivo e all’impulso, al “vaffanculo” e al “sticazzi”, con leggerezza e intelligenza rappresentativa. Le donne devono imparare che la felicità se la devono prendere, non pretendere, e l’infelicità…la possono anche rimpatriare, rispedire al mittente, e senza farsene una ragione, soltanto rifiutandola d’istinto, finalmente.

Che culturale perciò sia il rigetto, anche di certe impostazioni matrimoniali, ad libitum.

Lei è naturalmente (ironicamente) Pia, una donna simpatica, esuberante e dalle mille risorse. Dopo un matrimonio lasciato al divano e alle pantofole puzzolenti di indolenza e svilimento, sciatteria e primitivismi, tenta di ricostruirsi una vita in solitudine e difficoltà, e si innamora di un immigrato di colore (per superare anche l’impasse della noia e della frustrazione sessuale!). È un’insegnante di musica e ama l’Opera (che intermezza le vicende con i cori e le arie più famose). È ancora una sognatrice, è ancora anni ’80, così cita film d’amore come “la mia africa” con Meryl Streep, anche a uso di quest’ultimo e insolito innamoramento africano.

Quest’uomo di colore dorme in macchina e per strada, ai margini di un supermercato, dove lei continua ad andare avanti e indietro con una scusa ed un’altra, ed è musulmano. Per una napoletana a Mantova…che impresa vuoi che sia farlo innamorare!? Una tentazione partenopea ad accoglierlo. E così escogita di cucinargli una zuppa africana. In questo modo iniziano la loro relazione ai margini. Ma le relazioni vere sono tutte ai margini, e senza scomodare Sarte e i salti nel vuoto. E lei non ha paura dei margini, del nuovo, neanche del pericoloso…così lascia tutto per lui! Ancora una volta. Le donne, tutte salvatrici!

Ma ciò che proprio non accetta più è di dividere quest’uomo con un’altra donna. Basta! Non se ne può più di questo poliamore imposto dal maschile. Quando scopre che in Africa ha un’altra moglie, un’altra famiglia, lo denuncia e lo fa rimpatriare forzatamente senza rimorsi, e ritorna alla sua solitudine conquistata, oramai più e più volte conquistata.

Non è la differenza di culture che l’ha spaventata, è l’uguaglianza di culture, che allo stesso modo pretendono che lei debba accettare la sottomissione, l’inferiorità, la frustrazione sessuale, e la stessa ira “domestica”.

Anche le sue amiche, pure quell’amica ormai vedova, devono accettare i rimasugli di un’epoca ormai fuori tempo, forse l’unica amica che la consola è quella morta, con cui parla senza essere giudicata. Anche la madre e compiacente, ché da donna capisce in profondità l’inquietudine e il disagio vissuto.

Uno spettacolo molto divertente, gli uomini in sala ridono fragorosamente di loro stessi. Riuscito!

Non mi sono mai immedesimata così bene nell’impossibilità e nella incomprensione esistenziale, eppure così evidenti allo sguardo neanche attento di tutti. Allo stesso tempo così divertita per le sfumature ironiche e ridicole della vita degli altri, perché così tanto somiglia alla nostra.

Una regia potente, e di un monologo, perché i gesti e le accortezze della luce, dell’inquadramento proprio degli stati d’animo e delle rivendicazioni sociali attraverso le espressioni, la cristallizzazione delle facce e delle posture, fanno proprio quelli la differenza su tutto. Microsociologia.

Un’Attrice con la A maiuscola, consapevole del ruolo e del fatto, del rappresentare con le parole che sono ogni volta un mondo teatrale a sé per la potenza del messaggio, del ri-presentare allo spettatore la vita amletica di tutti i giorni. Bello il testo. Bello il teatro (per me nuovo).

Visto troppo tardi per costringervi ad andare a vederlo, ma assolutamente da impressionare, perché non perdiate le eventuali sue repliche altrove, e perché il mio desiderio è che vi ricordiate questi nomi, di questo piccolo capolavoro.

di Chiara Merlo

“Opera Pia” di Gianfranco Vergoni/ con Loredana Piedimonte/la regia di Nicola Pistoia/Costumi Isabella Rizza/Produzione Casa Del Contemporaneo

visto al Teatro Altrove Studio di Roma