Wenders e la teoria della struttura sociale di Merton

Non capisco la vita. Obiettivi e piaceri sono la stessa cosa? Di cosa ci si deve preoccupare? Come si dovrebbe passare il proprio tempo?

(Patricia Highsmith)

Al di là del fatto che la teoria di Merton (sviluppata sulla società americana degli anni ‘30) possa essere considerata ormai datata nei suoi limiti deterministici, chiunque avesse fatto approfondimenti sociologici sul rapporto esistente tra struttura sociale e devianza sa che una società si struttura nel rapporto funzionale tra mete e mezzi: mete sociali, caratteristiche di una determinata società, e mezzi offerti da quella stessa società per raggiungerle.

Una mèta può essere la famiglia, e un mezzo per esempio il lavoro. Ma una mèta sociale potrebbe anche essere la Ferrari, e il mezzo per averla, per esempio, un meccanismo imprenditoriale “rampante” con uno Stato che decide di essere non troppo solidale ed equo. Ma le stesse mete sociali sono per tutti? “Valgono” per tutti? E soprattutto, tutti possono accedere agli stessi mezzi per raggiungerle? E se tutti vogliono la Ferrari o il Rolex, tutti faranno i calciatori per permetterseli, senza così dover diventare criminali (scommesse clandestine a parte), e non medici o ricercatori?

Tutti calciatori o influencer, e quindi tutti con la Ferrari? Vincenti e approvati dai più e gli altri a “rosicare”? (Eh! Però! È una grande imprenditrice quella influencer lì, un genio della comunicazione! Ma, dico io: “imbroglia” i bambini malati di cancro! Eh ma è una intelligentissima, e se ha sbagliato, tutti possono sbagliare!!!)

Per Merton è deviante chi non fa sue quelle mete e quei mezzi. In sostanza: chi non rispetta le regole sociali di un determinato contesto sociale, in un determinato momento storico, cioè chi non rispetta le regole morali di quella società (non quelle penali).

Tipo, da noi: sposarsi entro i trenta anni, sposarsi in schemi eterosessuali, restare sposati finché morte non ci separi, avere figli normodotati, fare un lavoro stabile, possibilmente fisso, e principalmente nella pubblica amministrazione. E in un sistema come il nostro non si è disapprovati se un uomo ha più donne (mentre se una donna ha più uomini è una zoccola, soprattutto se va con quelli con la Ferrari – sistema patriarcale), e non si è disapprovati se si evadono le tasse (economia sotterranea/oscura), se si beve e si fuma in ogni dove, anche davanti ai bambini, se si supera il limite di velocità (prima causa di morte in alcune città come Roma), o la fila al supermercato, o si parcheggia sui marciapiedi, se non si fa la differenziata e si inquina, se si assume un lavoratore in nero e se non si fa lo scontrino al bar (sai, dopo la pandemia, faticano a guadagnare! Ma che caz…).

È cioè deviante chi si discosta dalla regole comuni, culturali, dominanti, in un sistema anomico in cui sia le norme civili che quelle penali hanno perso il loro valore sostanziale (e di orientamento), e che perciò dovranno essere sostituite per sostenere invece quelle regole morali ora dominanti che tutti riconoscono come tali (così si vorrà imporre per legge – per legge! – il presepe nelle scuole a Natale, perché la regola sociale dice che noi siamo tradizionalmente cattolici e dobbiamo difendere anche istituzionalmente la nostra fede religiosa, ché la laicità è a uso soggettivo e non regola collettiva).

Quindi, se la norma civile (di diritto civile) ti dice che devi battere lo scontrino, la norma comune, morale comune, magari rafforzata dalla politica della maggioranza, dice che quella tassa lì è il “pizzo” che si paga all’Europa. E allora si propone di cambiare quella norma di diritto civile e in linea con le norme europee, consentendo di non battere lo scontrino sotto i 50 euro (anche se poi l’Europa ti tira le orecchie e sei costretto a ritornare alle regole civili più ampie e non da orticello, che sono appunto europee e non italiane).

Intendiamoci, stiamo provando a spiegare come funziona un sistema, prima sociale/culturale e poi nel suo Ordinamento (fatto dalle sue leggi, a cominciare da quelle costituzionali), prima con le sue regole e i suoi obiettivi culturali, a prescindere se li consideriamo giusti o ingiusti, validi o non validi individualmente, e poi con i suoi decreti (grazie al Presidente del Governo della pandemia), ehm! Poi con le sue leggi parlamentari, che definiscono il suo livello di evoluzione e sostenibilità culturale.

La società è questa, in divenire, si struttura così, le leggi vengono dopo le regole sociali, e l’etica dopo la morale, e allora bisognerà (forse) “adattarsi” mano mano a quelle regole della maggioranza consapevolmente per poter sperare di essere inseriti in una società che quindi solo a certe condizioni morali comuni è disposta ad accettarti.

“Sistemati”, strutturati, pragmatici e smart per esserci riusciti, magari anche con qualche furberia, ma comunque a essere un tutt’uno con quell’ambiente culturale ormai a ecosistema, ci troviamo tutti in quell’acquario asfittico con la nostra mente.

Dobbiamo sapere però che, sia chi parcheggia sui marciapiedi, sia chi maltratta e offende, anche solo con il linguaggio e le barzellette, le donne, sia chi assume in nero…insomma, “famo” tutti parte di quello stesso sistema culturale sociale a cui ci stiamo abituando e adattando, e che quei comportamenti, tutti insieme interdipendenti, lo stanno “servendo” e corroborando per il futuro e nelle sue leggi.

E così, a un certo punto: un trans sarà considerato un deviante, perché preoccupa gli eterosessuali e quelli che sono per la vita! E sembrerà giusto preoccuparsene! E siccome darà fastidio, verrà arginato e il DDL Zan non “passerà” in Parlamento. La legge per il presepe invece forse sì. Allo stesso modo, verranno vietati i rave party, mentre se uno userà per gioco una pistola in una festa con tanta gente e bambini in casa, rischiando di ferirne qualcuno, che pericolo c’è? Quello è un gioco, gli errori magari saranno considerati per ingenuità. Se un gioielliere ammazza alle spalle due ladri in fuga sarà approvato, anche dai “giornalisti”, perché doveva legittimamente difendersi da chi ha attentato per l’ennesima volta il suo patrimonio, e il patrimonio è più importante della vita di due balordi. Invece una donna che lascia il marito e va con un altro, e viene ammazzata per questo, ha sicuramente anche lei una parte di colpa per essere diventata vittima.

Spesso anche la gente colta pensa che deviante sia il “depravato”, il criminale, la puttana, ma nella realtà non tutti i criminali sono devianti, e non solo i serial killer o i “malati mentali” sono devianti. I colletti bianchi corrotti e che corrompono, per esempio, sono “considerati” dalla maggior parte delle persone come dei “perseguitati” penalmente, perciò: né criminali, né devianti, anche se la criminalità economica o ecologica (che poi oggi sono la stessa cosa per certi versi) possono assoggettare un paese per esempio a paesi più forti o addirittura tirannici e integralisti (e non cattolici!). Chi ha dei gusti sessuali particolari, invece, il vegano, l’ambientalista e chi pratica il poliamore (senza assimilarli, non sono tutti di sinistra!) sono il male assoluto, pur non facendo del male proprio a nessuno. Vanno censurati.

Ritornando a Merton, devianti sono: l’innovatore, il ritualista, il rinunciatario e il ribelle (e tra i ribelli c’è anche l’eremita, e anche l’eremita di città). Il conformista invece (quello “normale” che ama la “normalità”) servirà a dovere il sistema e la sua funzionalità, e non sarà perciò mai considerato deviante dalla maggioranza. Donzelli in questo sistema così strutturato come il nostro non sarà mai considerato un deviante!

Merton differenzia i quattro soggetti considerati devianti. L’innovatore accetta le mete ma si inventa i mezzi (voglio la Ferrari e la ottengo truffando e rubando, perché lavorando non ci riuscirò mai ad averla), ed è spesso per questo anche criminale (a meno che non sia un ministro che non paga i contributi per i suoi lavoratori). Il ritualista non accetta le mete ma si adatta ai mezzi, la società dice che quello è il modo di essere felici e allora occorrerà diventare il “Fantozzi” di turno, il ritualista per eccellenza, che pur di prendere l’autobus a quell’ora per andare a lavoro, si lancerà dalla finestra di casa, letteralmente, e fisicamente, per finire sopra l’autobus e nell’abisso della sua esistenza. Segue le regole come un rito senza averle accettate, e senza aver fatto proprie neanche le mete, accettando invece soltanto i mezzi. Il rinunciatario non accetta né mete e né mezzi, e si mette ai margini della società, come esattamente fanno il barbone e il drogato (l’eroinomane, non certo il cocainomane).

Infine, c’è il deviante per eccellenza, quello che è propositivo, il ribelle.

Il ribelle propone mete nuove e mezzi nuovi, non contrastando di fatto la realtà sociale, muovendosi e vivendo anche al suo interno, ma come un anarchico invisibile, un esistenzialista disapprovato da tutti, che pure vive una sua vita possibile, ma soltanto sua, suggerendo schemi relazionali nuovi e inascoltati.

È il caso dell’eremita, ed è il caso del protagonista di “Perfect Days” di Wim Wenders, candidato Oscar 2024 per il Giappone, considerato da metà del pubblico che ha visto il film un disadattato, un asociale, un ossessivo patologico…e dall’altra metà degli spettatori invece, semplicemente un poeta!

Un solitario buono e gentile che come obiettivo sociale e collettivo assume quello esclusivo di far funzionare i cessi di Tokyo che gli sono stati assegnati (e i cessi pubblici di Tokyo sono fra i più puliti di tutto il mondo).

Ci sarà una ragione culturale e sociale, individuale e collettiva, per volere che quei cessi pubblici siano sempre così puliti in ogni momento della giornata e per tutti! Per tutti quelli che passano: bambini, barboni, mamme, impiegati, dissenterici e in crisi gastroenterologiche, ubriaconi e turisti. Tutti!

“Ma perché li lavi cosi attentamente se fra un po’ li risporcano tali e quali?!”Che senso sociologico ha prendersi cura delle latrine? Che obiettivo individuale è?

Rifiutati di essere triste.

Il giapponese Hirayama (interpretato dall’eccezionale Kōji Yakusho) ha abbandonato i vecchi schemi sociali imposti per avere finalmente un tempo tutto suo, riempito di momenti unici tutti suoi, e questo proprio mentre pulisce i bagni sociali per tutti.

Si sveglia la mattina sentendo pulire le strade, mette in ordine il letto e le sue cose, si veste, si lava e cura la sua barba come dovesse andare a un appuntamento, e l’appuntamento c’è, ed è proprio quel giorno lì.

Apre la porta della sua casa e sull’uscio, la soglia del presente, guarda il cielo, sorride perché è sempre bello il cielo, ogni giorno, prende il suo caffè, e una volta in macchina attraversa la città, Tokyo, sovrastrutturata di strade e grattacieli, per arrivare alla sua mèta: i cessi (insisto nel chiamarli così, c’è una ragione!).

Nel tragitto, ascolta la musica di Lou Reed, Patty Smyth e altri cantautori americani che hanno segnato gli anni 70 in ogni dove terraqueo, ma la musica è in musicassette che per lui hanno un valore inestimabile e romantico (e anche per me, che ancora non ci rinuncio).

Mentre pulisce i cessi, la città avviene intorno a lui, e lui la osserva, non interviene, solo quando veramente costretto, se per esempio un bambino si perde, lo aiuta.

Eppure, anche se in un silenzio continuo e duraturo, quasi autoimposto, anche se in gesti impercettibili e mai invasivi o invadenti, anche se con sguardi profondi ma mai interrogativi o giudicanti, cambia ogni giorno il senso della sua esistenza e di quella degli altri, che non se ne accorgono e vanno avanti senza apparenti cambiamenti che pure sono da lui causati.

Trovano i cessi sempre puliti e sono soddisfatti. Funzionano. Sono l’unità di misura di quella cultura, e tutto il resto si adegua spontaneamente. Spontaneamente, come nell’anarchia. Senza forzature o imposizioni. Libertariamente.

Con il potere enorme del solo comportamento non reattivo di un solo individuo che è un “disadattato” (deviante), che non accetta di essere come gli altri sono: opportunisti, violenti, maldicenti, approfittatori, furbi. E non lo fa, il furbo, il violento ecc. Sente la tristezza di tutti e se la mette nella rete dei pensieri, ma mai li esprime.

Quei pensieri gli servono come preghiera per portare avanti la tristezza di tutti pulendo i cessi..

Ogni tanto fotografa il vento fra gli alberi, il cambiamento delle forme, guarda le ombre sui muri, ma le foto non sono istantanee (da cellulare) sono fatte in maniera analogica, per un tempo di riflessione necessario tra una foto e un’altra, e quando in pausa sotto gli alberi si accorge di qualche germoglio…apre un contenitore di carta fatto a casa, e quel germoglio lo interra lì, nel cuore, e una volta a casa, alla fine della giornata, lo mette in un contenitore per piccoli alberi, e ce ne sono tanti che cura e annaffia puntualmente ogni giorno prima di andare a lavoro.

Sulla mensola posa oggetti vicina alla porta, posa chiavi, portafogli, macchina fotografica e altri oggetti che servono alla sua unica giornata, c’è anche un orologio, che mette solo la domenica però, ma non per farsene vanto, è un vecchio orologio comune, solo perché è la domenica a non essere cadenzata dal ritmo esistenziale che ha dato alla sua vita con il suo lavoro.

La domenica va a lavare i suoi panni in lavanderie pubbliche, va a farsi il bagno in vasche pubbliche, va in locali pubblici a cenare e a bere. Ogni tanto va in un posto dove c’è una donna che gli sorride, e lui è felice così. La ama così. E anche lei forse lo ama così. Ma che importa. L’amore è amore perché è un sentimento puro. Chi ne è più capace?

La notte prima di addormentarsi legge un libro sconosciuto che è andato a scovare in una libreria dove la proprietaria li ha già letti tutti e glieli consiglia. Gli occhi si stancano, chiude la luce, guarda un’ultima volta la finestra, e mentre si addormenta le ombre del giorno ricompaiono come un resoconto emotivo sulla parete dove si riflettono i lampioni di fuori, insieme a occhi, sorrisi, mani.

Questa è la sua vita, ogni giorno, per tutto il film. Quasi lo spettatore si annoia. Non capisce. Perché questo film? Per confortare gli ultimi con solo i dettagli della bellezza?

Ma cosa è veramente bello? Leggere un libro, guardare la finestra e il cielo, osservare gli alberi e fotografare il vento? Andare in bicicletta la domenica verso il mare senza arrivarci mai?

La bellezza è il tempo. Il tempo che dedichi, il tempo che riempi di significato, il tempo in cui ami in silenzio. Il tempo che è silenzi e ombre, il vento fra gli alberi e i germogli sul tavolino che più in là pianterai. Un’altra volta, adesso li proteggi. Il tempo che destini non visto alla società, non visto perché è secondo un altro “stile” che non è quello di tutti.

È un eremita strano. Che non va sui monti e sparisce, ma sparisce nei cessi che utilizziamo e non rispettiamo perché sono cessi. Pare annullarsi lì, ma siamo noi ad annullarci in lui, che non è un eroe, è un ribelle! Proprio il ribelle secondo Merton

Non racconta niente di sé, del resto, chi è che vuole conoscere la vita di chi pulisce i cessi? Anzi, averci fatto pure un film, che abnormità! Un film radical chic sui cessi, noioso e di sinistra che ci vuole convincere che tutto il resto è brutto e fa schifo. Che la Ferrari fa schifo! Che tutto è capitalismo e consumismo.

A me ha convinto. Anche quando finalmente nella scena finale quest’uomo piange. È sconfitto? (tutti vorremmo un po’ così, che fosse sconfitto…come ce la spiegheremmo sennò la nostra vigliaccheria?). Ce la fa? Ce l’ha fatta?

Regia poetica e fatta solo di dettagli morbosi (come è nella cifra stilistica di Wenders), fotografia contemporanea eccellente, bellissime le luci e le sequenze, tutte curate e mai uguali, anche se apparentemente devono sembrare tutte uguali.

Una “rappresentazione della quotidianità” messa in scena da un attore che merita ogni premio alla recitazione. Misurato, emotivo, espressivo, realistico, idealistico.

Non ho “correzioni” da suggerire, è perfetto, è un capolavoro, è unico, psicologico, sociologico, microsogiologico, politico senza essere “comiziale”, neoromantico ed esistenzialista. Tutti ingredienti che io voglio “vedere” in un film che sia un film, e non una pappetta commerciale.

Sulla musica non aggiungo niente, perché sì, quella è stata scelta perché piacesse a tutti i 68ttini, con un po’ di ironia. Sceneggiatura difficilissima, senza regole. Quella che mi piacerebbe scrivere.

Solo un piccolissimo appunto, che poi forse non è un appunto. Il messaggio è popolareggiante. Mi spiego. Si capisce che lui era ricco, l’unica cosa che si capisce è che prima lui era ricco e colto. Ora, ricco e colto vanno per forza insieme?

È una risposta che ancora non mi sono saputa dare fino a oggi. Il mio Prof. di italiano Attilio Perri diceva che l’arte e la rivolta non possono che essere popolareggianti, cioè “per” il popolo, non “del” popolo…non lo so!

Un indizio nel film in questo senso è che gli altri che puliscono i cessi, quindi poveri, sono ugualmente approfittatori e furbi. Bisogna perciò forse essere degli eletti per poter operare il cambiamento, individualmente silenzioso e operoso, pensato e voluto, e saperlo operare senza scopi egoistici? 

di Chiara Merlo