Intervista a Anna Starita

Nuova sinistra: in cosa fattivamente vi distinguete dalla vecchia gestione / in cosa vi considerate nuovi.

Nuova sinistra: in cosa fattivamente vi distinguete dalla vecchia gestione / in cosa vi considerate nuovi.

Non so se sento di far parte di una “nuova sinistra”. Per storia familiare e formazione politica, infatti, mi sento molto vicina alla storia e alla tradizione della sinistra novecentesca. Il mio può sembrare un discorso nostalgico, ma in realtà non lo è: il problema è che chi è venuto dopo non è stato in grado di innovare quella grande eredità politica e culturale perché, quando le istanze del movimento operaio stavano cominciando a saldarsi con quelle dell’ecologismo e del femminismo, si è deciso di liquidare tutto. Allora credo, e in questo ci differenziamo dalla “vecchia sinistra”, che noi dobbiamo abbandonare definitivamente il nuovismo che in tutti questi anni ha fatto parecchi danni e recuperare la nostra tradizione politica, innovandola alla luce delle questioni ambientale e femminile, due delle grandi emergenze di questo tempo. In questo, forse, ci consideriamo “nuovi”, perché in Italia queste cose non le dice quasi più nessuno.

Donne: come concretamente intendete lavorare dall’interno per incrementare l’accesso delle donne ai luoghi di gestione del potere e dell’amministrazione. Come eliminare gli ostacoli a tale ingresso (ammortizzatori sociali e familiari e simili)

Innanzitutto, è importante che la giunta abbia una folta presenza femminile. A qualcuno può sembrare una questione di facciata, ma per me è un fatto di sostanza, perché le donne sono di per sé portatrici di una sensibilità diversa da quella maschile e dunque averne tante nel principale organo esecutivo della città è fondamentale. Poi sì, bisogna lavorare a tutta una serie di ammortizzatori e servizi (a partire dagli asili nido, che sono molto pochi) e questo possiamo farlo attraverso la creazione di una commissione, composta da donne provenienti dal mondo dell’accademia, dagli enti comunali e dai movimenti e dalle associazioni femministe, per l’attuazione del programma URBACT sulle “Gender Equality Cities”.

Ecologia / urbanistica e strade: un intervento minimo per rendere più verdi i luoghi abitati / un intervento per rendere accessibili gli spazi pubblici

Napoli ha un piano regolatore che ha fermato il consumo di suolo. Resta, però, che nei decenni passati si è cementificato troppo e dunque sono poche le aree verdi rimaste in città. Una buona misura per rendere più verdi gli spazi abitati – oltre alla manutenzione dei parchi urbani e alla ripiantumazione degli alberi dove sono stati selvaggiamente abbattuti – sarebbe quella di adibire nuovamente, laddove possibile, i cortili ad uso agricolo per orti e frutteti (penso soprattutto all’area degli ex-casali). Si tratta di una misura che è stata studiata per il PUC del Comune di Arzano e che sarebbe interessante sperimentare anche qui a Napoli, magari attraverso alcuni progetti pilota.

Sull’accessibilità dei luoghi pubblici, invece, c’è da dire che Napoli è una città collinosa: noi abbiamo già studiato un piano per aumentare l’accessibilità dei luoghi pubblici (e anche di quelli privati), ma una misura fondamentale, a mio avviso, sarebbe quella di installare ascensori e scale mobili per consentire a chi ha problemi di mobilità di spostarsi più agevolmente da un quartiere all’altro, soprattutto in zone come Vomero, Posillipo, Coroglio e l’Avvocata. È un piano, però, che va necessariamente messo a punto assieme alla Soprintendenza perché per noi è prioritaria anche la tutela del paesaggio e del patrimonio.

Soldi: come gestire le risorse e con quali priorità. Cosa mettere al 1°posto.

Partiamo da un dato di realtà: il Comune non ha soldi. Dal punto di vista finanziario la situazione è drammatica a causa di un debito che negli ultimi anni è cresciuto a dismisura al punto che è difficile quantificarne persino le reali dimensioni. L’unica strada per risolvere questo problema è applicare le linee guida tracciate dal nostro segretario Speranza assieme a Giuseppe Conte ed Enrico Letta nel “Patto per Napoli”: bisogna avviare una procedura commissariale di gestione del debito sulla falsa riga di quanto successo a Roma, istituire il Fondo per il sostegno all’equilibrio di bilancio degli enti locali (secondo quanto previsto dal decreto sostegni-bis) e poi lanciare un piano straordinario per l’assunzione di personale. Quest’ultimo è un punto a cui tengo molto perché attualmente i dipendenti comunali sono solo 4600, mentre all’inizio dell’esperienza de Magistris erano 12mila. E, nel frattempo, l’età media si è anche alzata notevolmente. Con questi numeri è impossibile assicurare i livelli essenziali di prestazione con i servizi sociali, gli asili nido e le scuole ed il trasporto pubblico. Siamo nella terza città d’Italia ed è un vero scandalo. Dunque il primo punto è questo: assumere personale.

Lavoro: come risolvere il problema degli invisibili, stratificati a vari livelli, dalle cucine agli ospedali agli studi legali etc dove il nero è solo ammantato da contratti fittizi. (Oltre all’economia sommersa c’è un ulteriore ‘sommerso’ che è il nero dei lavoratori in divisa o giacca e cravatta)

Il problema di Napoli è legato all’assenza di settori ad alta produttività. È un difetto strutturale dell’economia locale che si è aggravato con la deindustrializzazione cominciata a fine anni ’70: disoccupazione, nero, manodopera poco qualificata e sottosalario sono costanti che ci portiamo da sempre e che il recente boom turistico non ha risolto e che, anzi, per certi versi ha addirittura aggravato. La città, in altre parole, più che produrre arraffa, si arrangia. Dunque la soluzione è in primis aumentare la produttività; questo passa necessariamente per la difesa delle industrie rimaste e la loro riconversione ecologica. Poi bisogna cominciare a sviluppare un’economia dei servizi che non sia solo quella del turismo. Purtroppo a Napoli, negli ultimi anni, abbiamo avuto giunte totalmente incapaci di dare una programmazione allo sviluppo economico della città, mentre adesso questo è proprio uno dei punti principali del programma di Gaetano Manfredi.

E poi, tra le varie proposte che ho presentato durante la campagna elettorale, mi sta particolarmente a cuore quella dell’istituzione di un osservatorio permanente sul lavoro che si occupi di studiare i dati sull’occupazione e sulla disoccupazione. È una delle prime battaglie per cui mi impegnerò in Consiglio Comunale.

Cultura: che posto occupa nelle vostre priorità? Ricevere e vagliare proposte ed eventualmente sostenerle con finanziamenti mirati oppure deve essere il senso di una programmazione?

Le politiche culturali sono un tema centrale della nostra campagna e io, personalmente, preferirei un’amministrazione che agisca programmando. Da questo punto di vista sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione tra mondo accademico e giunta, anche e soprattutto per quanto riguarda la gestione del patrimonio storico-artistico e archeologico di proprietà comunale. Non è pensabile che l’operato dell’amministrazione di una città che ospita quattro atenei pubblici rimanga impermeabile rispetto al mondo della ricerca (se non per sporadiche iniziative). Il rischio è, come d’altra parte già avviene, che il Comune giochi un ruolo marginale in materia di politiche culturali, a tutto vantaggio del protagonismo dei musei autonomi, delle associazioni e dei privati che si fanno mecenati dell’arte contemporanea: non che il futuro della città stia nella competizione tra il Comune e gli altri soggetti attori nel campo della cultura, ma non si può pensare che il Comune lasci piena libertà a iniziative di scarso valore scientifico e didattico, oppure che scelte fondamentali per interi quartieri (il cosiddetto “Quartiere dell’Arte” tra Montesanto e Materdei o la zona del Museo, per esempio) vengano proposte o attuate senza una regia pubblica o addirittura in polemica col Comune. Parliamo pur sempre di veri e propri tentativi di rigenerazione urbana, anche se non tutti sono in corso di realizzazione (di alcuni se n’è discusso, per ora, solo sui giornali).