“E allora noi andavamo lenti perché pensavamo che la vita funzionasse così, che bastava strappare lungo i bordi, piano piano, seguire la linea tratteggiata di ciò a cui eravamo destinati e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere. Perché c’avevamo diciassette anni e tutto il tempo del mondo”. (Zerocalcare)
Secondo me è un bene che il dibattito su Zerocalcare si sia protratto così a lungo. Perché dibattere su un prodotto culturale è una cosa buona. Magari sempre. Ma, certo, dipende da come si dibatte. E in questo dibattito ci sono alcuni elementi stupidi, altri pretestuosi, altri ancora, a mio parere, stimolanti.
L’elemento più stupido è quello del romanesco: e va liquidato con un inevitabile stigrandissimicazzi.
Gli elementi pretestuosi sono certi di chi si scaglia contro coloro, tipo me, a cui la serie non è piaciuta granché: del tipo “tu dici così perché sei così” (nel mio caso bastian contrario, snob, radical chic), che è l’argomento pretestuoso, e quindi inefficace e sterile, per definizione.
Tutti gli altri elementi mi interessano.
La questione del target, per esempio, che è sempre cruciale. Il pubblico cercato da questa serie è il pubblico che già conosceva Zerocalcare o un pubblico nuovo o più ampio? Nel primo caso, è chiaro che ci si ritrova molto dello Zc di sempre, eppure a me sembra ancor più chiaro quanto Strappare lungo i bordi sia una specie di compendio dei suoi lavori meno maturi, in cui la componente politica è assente o ben che vada pallidamente implicita. La più grande debolezza, a pensarci, sta nell’essere rimasto a metà del guado nel processo di identificazione tra autore e personaggio: se quello sei tu allora non puoi tralasciare il fatto che nella vita, e ormai da tempo, sei un uomo di straordinario successo. Rimarrai loser dentro, va bene, ma la vicenda si nutre molto anche del fuori. E comunque a me la dimensione esplicitamente politica, in cui Zc dà il meglio di sé, dalla questione curda, per dire, al G8, manca moltissimo.
Se Zerocalcare voleva raggiungere un pubblico più ampio allora il dibattito è ancora più complesso. Io la vedo come un’occasione persa: con la lingua svelta dell’animazione e la vetrina di Netflix poteva dire, e con la stessa resa divertente e leggera, cose di ben maggiore sostanza. L’esistenzialismo di un trentottenne di successo non può attingere a logiche da neolaureato che non sa dove sbattere la testa. Secondo me Zerocalcare è in ritardo di dieci anni, la rappresentazione, mi spiace, risulta inautentica.
La puntata finale, invece, è proprio sotto tono, come è debole l’intera struttura narrativa. Io, vi confesso, quando ho visto comparire i vecchi la prima volta ho pensato che fossero i genitori di Carlo Giuliani o Giulio Regeni. Non dico che sarebbe dovuto essere così, ma che il mio genere di aspettative, evidentemente, era questo. Per cui era inevitabile che poi ne uscissi deluso.
Detto ciò, e detto che a lunghi tratti guardare Strappare lungo i bordi è stato spassoso e gratificante, viva sempre Zerocalcare.
Rimango un suo estimatore, ma adesso lo stimo sapendo di potermi aspettare anche, come in fondo è inevitabile, qualche passo falso.
Giovanni Dozzini
Giovanni Dozzini è giornalista e scrittore. Il suo ultimo romanzo è “Qui dovevo stare” (Fandango, 2021). Con “E Baboucar guidava la fila” (Minimum Fax, 2018) ha vinto il Premio letterario dell’Unione Europea 2019.