La vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Quindi: canta, piangi, balla, ridi e vivi intensamente, prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi
(Charlie Chaplin)
Se vuoi dire la verità alla gente, falla ridere, altrimenti ti uccideranno
(George Bernard Shaw)
Anna Teresa Eugeni è attrice, doppiatrice, autrice, regista, docente stimata di recitazione e doppiaggio. Non si chiede l’età a una signora e noi quindi non lo faremo, paghi di sapere che il suo curriculum ha inizio negli anni sessanta, dopo un diploma alla Silvio D’Amico e in concomitanza a una laurea in Lettere moderne.
Poi è arrivato tutto il resto. Teatro sperimentato a 360°, nessun genere escluso, scrittura, regia, collaborazioni strutturate con Università e Enti Lirici e avanti tutta.
Dagli anni 90 comincia a inserire nelle sue regie teatrali scene filmate di cui cura la regia. E di scena in scena eccola a Chez Sciro’: SOS!!!, il suo debutto come regista cinematografica, dello scorso anno, film indipendente distribuito da White Rose su Network, già visibile su Chili Tv.
Com’è nata l’idea di questo film, per lei opera prima?
L’idea covava da tempo: quella di raccontare su un supporto fisso una storia che intrecciasse temi che mi stanno a cuore. Ma volevo farlo in modo lieve, ironico, perché di pesantezza non ne possiamo più.
E quali sono i temi che più le stanno a cuore?
La corruzione politica e di molti ambienti privilegiati, i favoritismi, il disconoscimento del merito, la burocrazia che ti toglie la voglia di intraprendere qualunque iniziativa, il lavoro sottopagato. I giovani maltrattati, la professionalità ridotta a bassa manovalanza. Io ho frequentato e frequento tuttora molti giovani, ho insegnato recitazione e doppiaggio in diverse scuole, e vedere ragazzi di talento ridotti a questuare una posa, ad accontentarsi di briciole, mi fa molto male.
Ma come si fa a essere lievi raccontando storie così?
Ci si prova. Poi magari non si riesce ma aggiungere carico al carico non fa bene a nessuno. Oltre a non risolvere i problemi più della leggerezza.
E come ci si prova?
Io ho optato per un registro grottesco, molto sopra le righe. Immaginando i personaggi perlopiù come allegorie di situazioni, di modi di essere, di tic, di debolezza oppure di arroganza. Non ci devi credere come se fosse un film neorealista, devi assistere a un gioco che fa sul serio, nel senso che i contenuti sono seri, la denuncia della corruzione, per esempio, è serissima. Ma se ci scappa la risata non mi dispiace. La leggerezza aiuta a riflettere.
Un po’ come il fool shakespeariano?
Lo ha detto lei. Io non mi spingo a tanto.
Il suo riferimento?
Il mio faro è la massima di Pietro Germi che dice che “per denunciare le sofferenze nascoste della società bisogna usare la strada dell’ironia dolce-amara e situazioni grottesco-surreali”.
Però il tributo evidente è alla commedia dell’arte.
Infatti la commedia offre la possibilità di giocare con i ruoli, con i prototipi, che non saranno personaggi reali, da dramma borghese, non hanno la statura degli eroi tragici, ma raccontano, stilizzandoli, i tratti della natura umana, con le sue fragilità e i punti di forza. Io credo, per esempio, che il desiderio di appartenere a un ceto sociale diverso, la ricerca di un blasone, la volontà di dissimulare la nostra stessa natura e anche la nostra storia, il nostro passato, serpeggi ancora oggi. Parlare di ceti sociali oggi dovrebbe far ridere e invece assistiamo continuamente a delle recite che hanno dell’inenarrabile.
Provare a narrarle dunque è la sua sfida?
Anche. Oltre a essere il mio divertimento.
Però non ho visto cinismo
Per carità! Leggerezza anche lì. La cattiveria non mi appartiene, almeno spero. In ogni caso se sono stata cattivella, lo sono stata con i cattivi, con gli arroganti, non certo con chi si inventa un passato. In quel caso provo tenerezza.
Il fatto di avere girato quasi completamente in un interno cosa ha implicato?
Mi ha permesso di usare alcuni meccanismi della commedia dell’arte come se fossimo su un palcoscenico: lo scambio di ruoli, le entrate a sorpresa, i colpi di scena.
Come ha scelto il cast?
Il cast è formato da colleghi di vecchia data con cui collaboro spesso, come Gianna Paola Scaffidi, la marchesa, che oltre a essere una gran brava attrice è anche una carissima amica. Ma ci sono anche new entry che prima d’ora avevano lavorato solo in teatro.
Cosa si aspetta da questa sua opera prima?
Di vincere il premio come regista più matura alla sua opera prima.
Ma lo sa che non è stato mai istituito?
Ah no?
No, che io sappia, ma può essere un’idea
Allora lo scriva. Un premio così fa curriculum e io ho tanti progetti nel cassetto.
di Anastasia Vegada