Madre. La voce che sale dal fondo del pozzo.

È così difficile capirsi, angelo mio caro, e il pensiero è così incomunicabile, anche tra persone che si amano.
(Charles Baudelaire)

Madre è un gioiello teatrale di rara bellezza, destinato a rifulgere nella coscienza e nella memoria degli spettatori per lungo tempo. Basato sul poemetto scenico scritto da Marco Martinelli, si compone di due soliloqui pronunciati da due personaggi senza nome, Madre e Figlio, che incontrano troppe difficoltà comunicative a causa del solipsismo quasi autistico dell’omone di cui non conosciamo neanche l’età.

La storia è semplice. Una Madre è caduta in un pozzo e il Figlio non è in grado o, forse, non vuole aiutarla a uscirne fuori. Il testo è polisemico e fortemente simbolico e lascia compenetrare  elementi fiabeschi e mitologici nella compagine di una amara denuncia dei mali della società contemporanea, ipertecnologizzata, incapace di amare e colpevole della distruzione inarrestabile del nostro pianeta.

Il testo performativo è costituito da una perfetta orchestrazione di arti sorelle, la poesia, l’arte visiva e la musica. Non c’è azione e la scena ristretta e semibuia del Teatro Studio Borgna  dell’ Auditorium di Roma, contiene il contrabbasso riverso di Daniele Roccato, una lampada al centro che illumina i disegni che Stefano Ricci esegue dal vivo e che vengono proiettati sul fondale, e una base circolare che sostiene il microfono che amplifica la voce potente e materica di Ermanna Montanari. Sempre più brava e sempre nuova nella sua costante ricerca delle potenzialità fonetiche della sua voce.

foto di Enrico Fedrigoli

Inginocchiato a terra, Stefano Ricci crea con i suoi gessetti bianchi e neri figure relative al racconto e che spesso ne anticipano gli eventi. Fa rumore mentre graffia e gratta i cartoni circolari per dar forma a immagini che poi va sfumando e che, una volta terminate, scompaiono nel buio.

Il contrabasso di Daniele Roccato, che dal fruscio delle canne e del vento passa a Flow My Tears di John Dowland, suona in contrappunto con i vocalismi della Montanari.

Le tre arti si amalgamano in una tessitura performativa solo apparentemente statica per la quasi totale assenza di movimenti, ma in realtà dinamica per la intensa relazione dialogica tra voce, disegno e suono.

 All’inizio si assiste al farsi stesso del linguaggio teatrale. La Montanari dà voce al Figlio e si ingarbuglia in glossolalie incomprensibili.  Il suo volto esprime la fatica estrema di trasformare sillabe insensate, borborigmi vocali e borbottii di rabbia in parole di senso compiuto.

‘Madre’  è la prima parola gridata dal Figlio che sicuramente ignora i simbolismi del pozzo che qui appare come il vero protagonista della performance. Il pozzo è una sorta di portale tra cielo e terra. Simboleggia la dimensione occulta della realtà e, più in generale, rimanda all’abisso del nostro mondo interiore.

foto di Enrico Fedrigoli

Ma il Figlio che rimprovera la Madre per essersi affacciata al pozzo, le chiede ‘Cosa ci sarà mai da vedere/laggiù in fondo?’  E’ grande e grosso ma non sa ascoltare gli altri, tanto meno la madre che ripete più volte ‘T’am sent?’ , ‘mi senti?’

È l’uomo di oggi sempre assorto nei propri pensieri, solo e isolato dalla realtà che lo circonda. Non ce la fa ad aiutare la povera donna  per conto suo, anche perché calandosi nel pozzo oscuro, rischierebbe di doversi mettere in discussione.  Ha bisogno di attrezzature moderne per liberare la Madre. L’elenco minuzioso degli argani, dei tubi di ferro, delle carrucole e di altri strumenti metallici, definiti per tipo e marca, sembra non finire mai e cozza violentemente con il linguaggio impastato di parole e frasi in dialetto romagnolo usato da entrambi, ma soprattutto dalla Madre.

Lei che è più legata alla cultura delle origini, lei che diviene Madre Terra quando rimprovera aspramente il Figlio per aver abbattuto boschi e per aver avvelenato i fiumi. Ma il Figlio non ascolta. Terrorizzato da una tempesta imminente, se ne va e la lascia sola. Forse è andato a chiudersi con il catenaccio in casa  per vedere la tv, come avrebbe dovuto fare la Madre e come fanno tutti a una certa ora della giornata.

Il riferimento alla pandemia è esplicito e rafforza l’immagine di un mondo malato. 

Pochi minuti per cambiarsi, e la Montanari ritorna al suo posto indossando una lunga parrucca di capelli bianchi un po’ arruffati. Roccato suona un brano intitolato ‘animaletti’ fatto di suoni staccati che evocano la presenza di vermetti, lombrichi e altre piccole creature che vivono nella melma equorea dello sfondo del pozzo.

Contemporaneamente Ricci disegna un serpentello che si arrotola lungo un braccio. La Madre parla della bisciolina che le fa compagnia. E’ bianca ed emana una luce abbagliante. Nella mitologia celtica, il serpente simboleggia l’energia tellurica del pianeta e in molte culture è visto come il Portatore di Vita.

La bisciolina potrebbe quindi configurarsi come simbolo della Madre Terra. Anche perché, più tardi, si conficcherà nel piede della Madre, divenendone parte integrante. La donna sospetta che sia stato il Figlio a darle una spinta mentre lei guardava nel pozzo. È sicura che non l’abbia fatto apposta, perché lui è sempre distratto dai suoi pensieri e non si rende conto di quello che fa.

Ma il dubbio rimane e pone molti interrogativi sui rapporti tra madri e figli. La Madre è un po’ indispettita dalla incapacità del Figlio di porsi in relazione con lei. Tuttavia, preferisce raccontargli l’antica fiaba cinese del mondo degli specchi che non riflettevano immagini di persone o animali, ma erano altre persone o altri animali. Quando invasero la terra, le arti magiche dell’Imperatore Giallo prevalsero ed egli ricacciò gli invasori, li imprigionò negli specchi e impose loro di ripetere tutti gli atti dell’uomo. 

La voce duttile e variegata nelle tonalità della Montanari trasforma il racconto in pura poesia, una poesia dura che sottolinea la pericolosa necessità degli esseri umani di conoscere l’aspetto di se stessi attraverso un riflesso.

Subito dopo la voce si impenna nella implorante richiesta al Figlio di scendere nel pozzo seguendo le sue minute istruzioni.

 Non c’è finale ma la Madre che gira lentamente su se stessa con un dolce sorriso sulle labbra trasmette un filo di speranza al pubblico plaudente.    

di Susanna Battisti

scheda tecnica

MADRE di e con Ermanna Montanari, Stefano Ricci, Daniele Roccato. Poemetto scenico di Marco Martinelli. Regia del suono: Marco Olivieri. Tecnico luci: Luca Pagliano. Direzione Tecnica: Enrico Isola. Produzione Teatro delle Albe, Ravenna- Primavera dei Teatri, Castrovillari (CS)- Officine Theatrikés Salento, Lecce.  Foto gentilmente concesse dall’Ufficio Stampa nella persona di Silvia Pagliano.

Visto al Teatro Studio Borgna all’Auditorium di Roma il 13/4/2023.

Prima nazionale nell’ambito della XXI edizione della rassegna Primavera dei Teatri nell’ottobre 2020.

foto di Enrico Fedrigoli