I momenti più felici della nostra vita sono quelli in cui avvertiamo la strana sensazione che sia in nostro potere ricominciare questa vita da capo e cancellare quella vissuta finora con tutti i suoi dolori e i suoi errori, come un compito che adesso speriamo di scrivere meglio di quanto ci sia riuscito nella prima stesura.
(Arthur Schnitzler, Il libro dei motti e delle riflessioni, 1927)Accade spesso di rivedere spettacoli andati in scena qualche anno fa, interrotti dalla pandemia e poi ripresi da registi e attori tenaci. In buona parte dipende da questioni politiche, economiche e finanziare che strozzano le produzioni. La cultura, lo sappiamo, è sempre più trascurata nel nostro Paese. Ma gli artisti non si lasciano fermare da nessuno e continuano a lavorare a uno spettacolo, arricchendolo, in parte modificandolo, molto spesso migliorandolo.
Questo è sicuramente il caso di Smarrimento, scritto e diretto dalla pluripremiata Lucia Calamaro e interpretato magnificamente dalla versatile Lucia Mascino. In scena al TeatroBasilica di Roma fino al 4 febbraio, lo spettacolo, prodotto da Marche Teatro, debuttò ad Ancona nel lontano 2019, fece il giro di tutta Italia dopo la riapertura dei teatri e approdò a Roma, al Teatro India, nel febbraio 2022. Adesso, dopo tanto peregrinare, Smarrimento sembra aver raggiunto la sua piena maturità.
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Il monologo mette in scena una scrittrice in piena crisi creativa. Ha scritto romanzi completi, altri incompiuti e ora non riesce a portare avanti la storia di Anna, donna in carriera che si allontana da casa per motivi di lavoro, di suo marito Paolo costretto a fare da mammo di due figli difficili, la piccola Margherita che stenta ad addormentarsi e l’adolescente Sebastiano che se ne sta sempre chiuso in bagno. L’attrice nei panni della scrittrice racconta i suoi personaggi e, quando non parla di se stessa con il pubblico, li interpreta diversificando, con maggiore nitidezza rispetto al passato, i caratteri di Anna e di Paolo. Difficile dividersi in tre personaggi diversi nello spazio temporale di poco meno di un’ora. Ma Lucia Mascino lo fa con estrema agilità e destrezza, in un’ardita miscela di ironia, leggerezza, arguzia, disincanto e ben simulata indecisione.
La scena di Lucio Diana è di un bianco abbacinante e assembla un divano sulla sinistra, una libreria di assi sottili al centro e una scrivania, a destra, occupata da fogli, penne, una scatola di Golia, due pere e una bottiglia d’acqua, Il fondale del teatro, costituito dal muro in mattoni della navata della cripta della Scala Santa, non contribuisce più di tanto a riscaldare il biancore manicomiale della scena, ma contribuisce a sottolineare la metateatralità della piéce.
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Mentre il pubblico si accomoda in sala, la scrittrice di bianco vestita. cammina nervosamente avanti e indietro, parlotta con se stessa o osserva gli spettatori. Pochi minuti e diventa Anna, il suo personaggio, che, distesa sul divano, parla al telefono con il marito e dice che nella sua stanza d’albergo a Roma c’è un effetto cripta e pareti fatte di mattoni. Insomma, recita al TeatroBasilica.
Anna è un personaggio appena abbozzato da una scrittrice a corto d’ispirazione che la immagina forte, diretta, una che consola il marito dicendo che molte coppie vivono lontane. Termina la chiamata e in pochi attimi la Mascina diventa la scrittrice imbarazzata che cerca di instaurare un rapporto confidenziale con i lettori accorsi al reading organizzato dalla casa editrice in attesa della pubblicazione del libro che lei non concluderà mai.
Il monologo è un flusso di inizi interrotti, di argomenti lasciati in sospeso di digressioni e battute brillanti che si susseguono a ritmo incalzante. La scrittrice alterna momenti di dialogo diretto con il pubblico, al quale chiede conferma delle sue idee e delle sue emozioni, a momenti più introspettivi in cui parla del suo dolore, delle sue ansie e delle sue paure che probabilmente tarpano le ali alla sua creatività. Lucia Mascino è veramente duttile e minuziosa nel dar voce e corpo alle compulsioni, ai mutevoli sati d’animo e alle nevrosi della scrittrice. A tratti è scherzosa, autoironica, divertente, altre volte, soprattutto nella seconda mezz’ora dello spettacolo, i suoi toni si fanno più aspri e rabbiosi, soprattutto quando allude al dolore insito nella natura umana. Come i suoi personaggi e la stragrande maggioranza dei suoi simili, la scrittrice vive in una bolla di solitudine e quel suo insistito rivolgersi al pubblico rivela il suo forte desiderio di confrontarsi con l’Altro.
Spesso, per darsi un tono, fa la sapientona attraverso citazioni o riferimenti a studiosi e autori vari per testare il grado di cultura degli spettatori che stanno al gioco e ridacchiano, quando se ne esce con battute tipo: “come state a Lèvi-Strauss?”.
La scrittrice dice di essere stremata dalla fatica di vivere che altro non è che un “metti, leva, lava”. L’acume e l’ispirazione sono instabili e lei vive da convalescente che non riesce a riprendersi dalla fatica della nascita.
Anna è molto diversa da lei. E’ una donna forte che ha avuto a che fare con un caso di eutanasia, che ha sopportato il dolore di scoprire che la madre in ospedale non la riconoscesse più . Una che chiede al marito “Tu perché campi? Qual’ è il tuo buon motivo per vivere?”.
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Quando interpreta Paolo, la scrittrice usa un linguaggio più semplice e attribuisce al povero padre rimasto solo un modo più pratico di risolvere i problemi della quotidianità. Non potendo fare altro, cerca di smuovere Sebastiano dalla sua inerzia cronica limitandosi a strillarlo da fuori la porta del bagno. Con Margherita è più paziente e sperimenta tanti modi per farla addormentare accanto a lui. Entrambi sentono la mancanza di Anna.
Il dolore ci accomuna tutti e la scrittrice consiglia di metterlo al posto giusto, un posto qualsiasi che ci permetta di non portarcelo addosso.
Una soluzione al non riuscire a continuare ? Ricominciare . La scrittrice parla spesso della bellezza degli inizi di una qualsiasi esperienza e l’intera performance è un vero elogio del ricominciare , come scrive Lucia Calamaro nelle note alla regia. Una Lucia Calamaro che è il doppio di Lucia Mascino, in un sodalizio davvero ottimale.
Come tutte le sue opere precedenti da Tumore a Si nota all’imbrunire, ricorre in Smarrimento il nucleo tematico del dolore, ma, diversamente dalle precedenti, quest’opera è più teatrale e meno verbosa e narrativa. La regia ha un ritmo veloce, al punto che l’ intenso divertissement drammatico sembra scorrere in un attimo. La storia rimane inconclusa , priva di risposte alle domande che si intrufolano nella mente degli spettatori. divertiti e carichi di entusiasmo. Lo dimostrano i calorosi scrosci di applausi alla fine dello spettacolo.
Smarrimento, Uno spettacolo scritto e diretto da Lucia Calamaro/Per e con Lucia Mascino/Scene e luci: Lucio Diana/Costumi: Stefania Cempini/Allestimento tecnico: Mauro Marasà/Tecnici: Cosimo Maggini, Michele Stura, Jacopo Pace/Amministratore di compagnia: Serena Martarelli/Direttore di produzione: Alessandro Gaggiotti/Assistente di produzione: Claudia Meloncelli/Produzione MARCHE TEATRO:
Visto al TeatroBasilica di Roma il 26 gennaio 2024.
di Susanna Battisti