Celestini. Appunti per un film sulla lotta di classe.

La condizione sociale non significa nulla se non è socialmente riconosciuta. (Zygmunt Bauman)

Ascanio Celestini in “Appunti per un film sulla lotta di classe”.

Nel grande libro del comunismo lotta e rivoluzione sono le parole scomode di un’ideologia scaduta.

Eppure, la lotta è di ognuno, ogni giorno, sempre. La rivoluzione…è per tutti, a ogni costo, un pensiero. E non c’è bisogno che sia ideologicamente imposta, che abbia un leader, che sia di classe o contro i potenti…l’importante è che nuove mete e nuovi mezzi sociali, anche individuali, adesso silenziosi, ma sottoterra, scardinino quel perverso “struttural funzionalismo”, a tagliole, che ripetutamente ci sconfigge.

La rivoluzione allora, forse, è un personale libero mutamento. Ascanio Celestini ne fa una missione teatrale…a difendere quelli che subiscono ingiustizia, e sono in tanti, così la difesa funziona meglio, ha una specifica ragion d’essere.

Ma stai sicuro che se fai il paladino, qualcuno solo da difendere lo trovi proprio vicino a te, e forse, a quel punto, neppure lo vedi…

Bisognerebbe difendere il Lavoro, collettivamente, ma i Lavoratori oramai sono ammassati indistinti, senza classi, nelle discariche del sentimento comune, per le strade, senza nessun centro di stoccaggio concettuale…e forse non si accetta che la condizione sia di lavorare sul non lavoro, di guadagnare sul non lavoro, di fare anche politica (e teatro) sul non lavoro, comprare e vendere il non lavoro. Esattamente come si fa con la spazzatura!

L’economia di questo nostro Paese poggia sulle emergenze, sulle difficoltà, sui bisogni della gente, sulla rovina esistenziale di una generazione intera. Ed è apprezzabile che quella sua non voglia essere una provocazione, una speculazione teorica, e neppure dialettica.

C’ha la pena e lo schifo, con quel suo pizzetto da combattente e quegli occhietti lucidi luciferini, come chi vede dovunque il nemico. E il nemico è dovunque. Ma non riesce a riscaldare con quella voce che vorrebbe ma non somiglia affatto a quella di De Andrè. E invece è laconica di un comizio, un comizio sussurrato forse, raccontato davanti al camino come facevano i nonni, musicato, ma sempre un comizio, e per giunta a pochi eletti.

Ma poi chi sono questi eletti! Amano il teatro forse, hanno un pensiero comune di liberazione, sanno come votare alle elezioni…no, ridono, ridono del loro stesso malessere, perché Ascanio Celestini è cinico e sa farci ridere con amarezza di noi stessi! Lo spettacolo parla degli operatori dei call center, i nuovi proletari del futuro…e lo fa con forza politica e indignazione.

Ma questa indignazione non basta alla rivoluzione, e non basta neppure l’approvazione all’indignazione. Bisognerebbe avere il coraggio di non cedere ai ricatti, e poi non crogiolarsi di essere impotenti. E chi ce l’ha!

Chiara Merlo