Brevi interviste con uomini schifosi.

Gli scrittori tendono a essere una razza di guardoni. Tendono ad appostarsi e a spiare. Sono osservatori nati. Sono spettatori. Sono quelli sulla metropolitana il cui sguardo indifferente ha qualcosa dentro che in un certo senso mette i brividi. Qualcosa di rapace. Questo è perché gli scrittori si nutrono delle situazioni della vita. Gli scrittori guardano gli altri esseri umani un po' come gli automobilisti che rallentano e restano a bocca aperta se vedono un incidente stradale: ci tengono molto a una concezione di se stessi come testimoni. Ma allo stesso tempo gli scrittori tendono ad avere un'ossessiva consapevolezza di sé. Dal momento che dedicano molto del loro tempo produttivo a studiare attentamente le impressioni che ricavano dalle persone, gli scrittori passano anche un sacco di tempo, meno produttivo, a chiedersi nervosamente che impressione fanno loro agli altri.
(David Foster Wallace)

Da David Foster Wallace
Con Lino Musella e Paolo Mazzarelli
Regia di Daniel Veronese

Leggere Brevi interviste con uomini schifosi è come assistere allo sfogo di una ferita purulenta. Assistervi senza coprirsi gli occhi, legati alla sedia. Perché a volte verrebbe voglia di chiudere il libro, telefonare a quel tale che ci è tornato alla mente, e dare sfogo alla nostra, di ferita, sciogliendone i grumi, ma lasciando dentro il veleno sufficiente per annientarlo una volta per tutte. Perché se c’è venuta la tentazione di telefonare a un verme schifoso che credevamo defunto, è chiaro che completamente defunto ancora non lo era. I francesi lo chiamano esprit d’escalier ma forse qui c’è qualcosa di più. C’è l’affondare e rigirare il dito nella piaga, c’è il sentirsi e risentirsi di nuovo spalle al muro, memori e furibondi per la nostra incapacità, vera e propria inettitudine, di tirarsi fuori dai guai, di liberarsi dalla rete in cui siamo rimasti intrappolati e di cui siamo oltremodo consapevoli.

Vabbé, David Foster Wallace è stato un genio vero, di quelli che il dito lo rigirava intorno alle budella, le sue, finché non erano le stesse che gridavano pietà. E allora le osservava, sezionava, radiografava con occhi vitrei e mente caustica, talmente caustica che ancora scottano.

Brevi interviste con uomini schifosi è una raccolta di 23 racconti scritti nel 1999 e se li leggi ti sale proprio il rigurgito acido.

Invece quanto ho riso durante lo spettacolo!

Tradotto, adattato e diretto dal regista argentino Daniel Veronese, tradotto a sua volta da Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini, le ‘interviste’ sono scandite attraverso otto scene, interpretate in modo irresistibile da Lino Musella e Paolo Mazzarelli: due attori, due uomini, danno voce, vicendevolmente, al rapporto disfunzionale tra una donna e un uomo, tra una succube e uno schifoso, tra una silente, rassegnata o insofferente ascoltatrice e un fluviale manipolatore di fatti, parole, sentimenti, pensieri, desideri, un raffazzonatore di scuse che non stanno né in cielo né in terra, un viscido figuro che prova a mettere le mani avanti blandendo ed esordendo con l’esatto contrario di quello che intende comunicare, poiché ne teme gli effetti. Insomma il rapporto è (o sarebbe) quello tra la vittima e il suo carnefice.

Dico ‘sarebbe’ perché qui, con un’acrobatica inversione di equilibri, mi sembra diventi il rapporto tra quello di prima e colei che gli offre il fianco affinché si faccia la sua definitiva figura di stronzo. È quasi come se col suo silenzio lo volesse imbeccare: avanti, continua, siamo qui apposta, vediamo fin dove riesci ad arrivare. E allora via libera. Al pietismo estorto, all’autocommiserazione strumentale, alle illazioni e alla corruzione morale, al lavorio meschino sui sensi di colpa e sull’autostima, alle accuse messe in atto apposta per difendersi. Insomma via libera allo schifo, a tutto lo schifo che può fuoriuscire da un essere che si è svenduto l’anima al primo puttaniere.

Ora, sappiamo bene che la vittima è essa stessa carnefice, ma carnefice di sé, ingenua e temeraria masochista che non smette di credere che la redenzione sia dietro l’angolo. Ma qui no, qui la vittima si emancipa in un silenzio che diventa sprezzante, senza dolore e forse nemmeno risentimento. C’è poco da fare. Lo ha capito da mo’. Gli analfabeti affettivi in fatto di menzogne sono assai alfabetizzati. Esercitati, soprattutto. Sembra che facciano parte di un gruppo social (non più di Tik Tok) dove si scambiano suggerimenti e trite frasi di repertorio. Sono tutti uguali e anche le loro fronti non fan differenza.

Allora tocca farli sparire o andarsene altrove. Abbandonarli inermi sulla piazza comune. Lasciarli lì, increduli e disarmati, esposti al pubblico ludibrio sull’altare del ridicolo, San Sebastiani in sedicesimo, senza nerbo né dignità, che si accasciano alla prima coltellata, tra le risa degli astanti.

Noi non possiamo che ringraziare i sicari che hanno agito per noi. La soluzione finale. Finalmente sepolti da una solenne risata. In questo sta, innanzitutto, la forza dello spettacolo: prendere per i fondelli la cattiveria, raccontarla epicamente prendendo parte, schierandosi. È difficile, ma non impossibile.

C’è persino chi la chiama catarsi.

A latere, ma nemmeno poi tanto, una precisazione, a scanso di equivoci. Quello che è al centro non è il rapporto uomo-donna, maschio- femmina, né quindi siamo di fronte a una crociata femminista di quelle contro la violenza di genere. Foster Wallace nelle sue opere non risparmia affatto le donne, ma l’idea e la conduzione di questo spettacolo, in cui sono gli uomini a immolarsi e a farsi carico di tutto lo schifo che si racconta, è apprezzabile assai. Anche al di là delle ovvie esigenze di scena, che attribuiscono agli uomini le parti parlate. Qui si dà voce a caratteri, manie, ossessioni, derive e perversioni dell’anima e della mente, brutture e svilimenti che hanno poco a che fare con le questioni di genere. Anche se è un fatto che c’è un genere più calpestato dell’altro. E loro, tutti quanti, dal regista agli attori, mi sono sembrati d’accordo.

Lo spettacolo è in scena al Teatro India di Roma fino a domenica 13 febbraio.

Dal 15 al 20 febbraio sarà al Teatro Astra di Torino.

Crediti:

05/02/2022 ore 19.00
06/02/2022 ore 18.00

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BREVI INTERVISTE CON UOMINI SCHIFOSI
di David Foster Wallace
traduzione Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini
regia e drammaturgia Daniel Veronese
con Lino Musella, Paolo Mazzarelli
foto di scena Marco Ghidelli

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Marche Teatro, Carnezzeria, FOG, Triennale Milano Performing Arts, TPE Teatro Piemonte Europa
con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale e di Timbre 4 Madrid

di Alessandra Bernocco