Pippo Soffiavento Una navigazione solitaria con rotta su Macbeth

Ho quasi dimenticato il sapore della paura. In altri tempi i sensi mi si gelavano a un grido nella notte, e i capelli e il cuoio a un racconto pauroso si rizzavano fremendo come avessero anima. Mi sono saziato di orrori: lo spavento compagno ai miei pensieri di sangue non mi fa più trasalire.
(Macbeth, William Shakespeare)

Premessa numero 0: le tre premesse che seguono si possono anche bypassare.

Premessa numero 1: io a teatro prendo appunti. Pochi, tanti, due righe, sei pagine, dipende. Scrivo al buio guardando la scena. Sono abituata, faccio così da sempre. Unico deterrente, il fruscio delle pagine che a volte, ma solo a volte, si sente. Ma più spesso non frusciano: frusciano, nemmeno più.

Premessa numero 2: ieri mi sono persa il quaderno: un quadernone enorme che sembrerebbe imperdibile e invece. Dove, quando, chi me lo può avere sottratto. A casa non c’era, non c’è. Non mi capacito di come sia potuto succedere. Un quaderno A4 si è sfilato da uno zaino chiuso con zip e io non me ne sono accorta. Immagino chi lo ha rinvenuto e tutta la cultura che potrà farsi a mie spese.

Premessa numero 3: a volte gli appunti nemmeno li guardo. Scrivo di getto e poi o li butto o li rileggo giorni o mesi dopo e ci trovo dentro cose che magari nemmeno c’entrano con lo spettacolo, ma che lo spettacolo mi ha fatto venire in mente.

Fatto sta che se adesso li volessi a portata di pezzo non ci sarebbero più. E la storia di quel tal Pippo Soffiavento che cercava di esorcizzare la paura provando a mettersi nei panni di Macbeth, re di Scozia, la devo rintracciare nella memoria recente. Proprio quella che manca quando rincoglionisci e ti perdi le tracce.

Va beh, mi sono divertita, innanzitutto. Un attore solo in scena, uno spettacolo bizzarramente pirandelliano, giocato su più piani che scivolano con astuzia l’uno nell’altro. Poalo Mazzarelli è interprete e autore di questo monologo scritto, dice, prima della pandemia e quindi non un ripiego da lockdown dove i monologhi sono fioriti in gran quantità e per forza maggiore.

Eppure la costrizione c’è tutta, e il senso di impotenza, la fatica di stare a galla, i demòni nascosti che rosicchiano l’anima, i fantasmi che appaiono come a Macbeth e lo perseguitano in veglia e nel sonno. Ma qui il conflitto interiore è raccontato con una bella dose di ironia e autoironia e non senza il supporto di uno strizzacervelli che agisce non visto, dietro le spalle. Esiste davvero nella vita di Pippo o è solo un altro fantasma, una spalla, l’escamotage che gli offre il fianco per narrare a chi ascolta? Oppure è un’affettuosa presa per i fondelli dei tanti colleghi, intellettuali, artisti strizzati a caro prezzo e senza troppo successo?

Certo è che guarito non sembra, placato nemmeno. Ma la sua paura è quella che attanaglia tutti gli attori e non solo gli attori. Restare fuori, non esistere, perdersi, non essere riconosciuti o non esserlo abbastanza. Ma dopotutto chissenefrega.

Ecco: chissenefrega è uno sfogo che ritorna spesso nel corso del testo, come a mandare all’aria con un calcio la ragione sulla quale si era investito fino a lì.

Essere o non essere. Meglio essere e farsi carico dei propri fardelli, ambizioni comprese, oppure non essere e allora chissenefrega?

L’attacco dello spettacolo è molto ammiccante perché davvero non si capisce se quella di Mazzarelli sia una premessa circostanziata, utile a spiegare il perché e il per come è nato lo spettacolo, perché è stato interrotto eccetera eccetera e poi finalmente ha potuto prendere il largo oppure è già lo spettacolo stesso, che decolla a partire dall’autore che in quanto tale si riserva l’esordio, parte integrante del tutto.

Così è, se vi pare. Sono io, Paolo, alla mia prima performance da attore solista, ma è anche lui, Pippo, il mio alter ego che vuole fare Macbeth ma ha più paura del re.

Perché dopotutto se è vero che c’è sempre qualcuno che si sente più re del re, c’è anche qualcuno che ha più paura del re. E forse anche di essere re.

Esse – re o non – esse re? Giorgio Albertazzi rivisitava così il dubbio amletico. Quanto può intimorire essere re, essere il centro, il faro, il polo dell’attenzione, il cuore del potere nel bene o nel male? Il perno di un equilibrio su cui si poggiano gli altri, il pubblico benevolente o no che è venuto a vederci? Quanto può far paura essere quello che più si desidera? Ne siamo in grado? Ne vale la pena? Il gioco vale la candela?

O ha ragione Macbeth nel suo finale tragico subito dopo avere appreso che la regina è morta?

“Spegniti, breve candela! La vita non è che un’ombra in cammino; un pietoso guitto che sulla scena si pavoneggia e si sbraccia quell’ora, e dopo non se ne parla più: una favola raccontata da un idiota, tutta rumore e furia, che non significa nulla”.

E io? Io attore che sono qui a sbracciarmi quell’ora? Ce l’ho ancora, io, il coraggio di restare a specchiarmi e truccarmi prima di entrare in scena o scelgo di salpare su una vela alla volta di chissà quali lidi solitari, dove nessuno mi vede e le paure spariscono?

C’è una vela che si staglia sulla scena e occupa gran parte del fondale, e c’è una barca in miniatura, sulla consolle da camerino. E poi una corda da marinaio, rossa, che circonda lo spazio di azione e si arrotola a formare un cilindro in cui è riposto un fucile.

Quale sarà dunque la scelta di Pippo Soffiavento?

Seguire il vento con la vela spiegata e quindi chissenefrega o restare perché, in fondo in fondo, il gioco vale la candela?

Oppure il suo malessere si placherà navigando, sì, ma verso se stesso, verso quel re che gli fa tanta paura, ma che lo tenta e sollecita come il suo demòne più saggio?

Pippo Soffiavento, una navigazione solitaria con rotta su Macbeth non è solo il titolo e il sottotitolo ma è proprio la risposta, forse: la risposta che, in cuor suo, Pippo si dà e dà a tutti noi, che siamo lì a sperare che, ammainata la vela, si resti lì sulla scena per ritornare ogni volta, sempre e di nuovo, con la stessa maledetta paura di esistere, che ci riguarda tutti, a lanciarci un amo per non soccombere.

Questo è il teatro. E ne abbiamo bisogno.

uno spettacolo di e con Paolo Mazzarelli
scene Paola Castrignanò
sound design e musiche originali Luca Canciello
disegno luci Luigi Biondi
produzione Theatron Produzioni
con il supporto di Centro Teatrale Umbro | Angelo M

di Alessandra Bernocco