L’opera da tre soldi

L’uomo sopravvive solo grazie alla facoltà di reprimere la sua umanità
(Bertolt Brecht, L’opera d atre soldi)

Regia di Barrie Kosky con i Berliner Ensemble

Assistendo a L’opera da tre soldi con i Berliner Ensemble diretti da Barrie Kosky, al Teatro Argentina per Romaeuropa Festival, forse l’ospitalità più attesa, vero asso nella manica di questa edizione 2022, si ha l’impressione forte di essere di fronte a un teatro con una marcia ‘alternativa’, non direi una marcia in più, ma una marcia radicalmente diversa dal modo, anzi dai modi, in cui procede il teatro nelle pur varie e variabili forme a cui siamo consueti. C’è una modernità di approdo, c’è la volontà esplicita di emanciparsi da una lettura vetero-politica, usurata, a favore di un’operazione di teatro puro, giocoso, realizzato con divertimento e almeno due volte con il coinvolgimento diretto del pubblico. Non c’è la volontà di conformarsi a una poetica pregressa ma nemmeno quella di prenderne, eventualmente, le distanze. Eppure c’è Brecht in tutto il suo straniamento. Si recita l’ira, la gelosia e tutte le emozioni e pseudoemozioni del caso, gonfiate e rese con un espressionismo divertito, perfettamente gestito, senza sbavature. Si canta la lite tra Polly e Lucy che dai toni acuti vira al ringhio di una cagna in calore -un siparietto irresistibile tra due giovani attrici-, si affida il ruolo di Tiger Brown, il capo della polizia, a Kathrin Wehlisch, attrice en travesti.

La stessa critica al capitalismo, decontestualizzata, epurata da riferimenti storici e da stantie icone di repertorio, appare alleggerita, dispiegata sì con ferocia, ma quella ferocia divertita che nasce quando l’ironia non basta a se stessa e a raccontare i sempre uguali prodotti di un capitalismo inscritto non tanto nella storia e nella società di riferimento, ma proprio nei geni o, perlomeno, in automatismi acquisiti, in bisogni indotti riconosciuti come indispensabili, in quel mortifero processo di reificazione che vende e compra persino l’amore.

Si ride di sé, in definitiva, per non disprezzarsi, ma forse ci si prova anche in quel sano esercizio che è la disistima di sé, della natura umana, metodica e contro ogni retorica.

Un esercizio che si compie sulla partitura magnifica di Kurt Weill suonata dal vivo da un’orchestra interattiva, che dialoga e ammicca all’occasione. Per esempio, quando Polly chiede a Mackie dove sono i mobili della casa, lui mostra l’orchestra, che si alza in piedi.

Lo spettacolo è una macchina perfetta che contiene in sé tutte le maglie d’incastro e che trova dentro di sé la sua ragion d’essere, la materia prima a cui attingere e rendere omaggio. Luci, costumi a prima vista banali, anonimi, si rivelano invece profondamente capaci di raccontare i personaggi e le loro relazioni.

Non c’è nulla di prevedibile e meno che mai scontato, nessun orpello, nessun posticcio messo lì a sottolineare un’idea che lo spettacolo non veicoli dal suo interno, compiutamente. Non c’è niente che non sia al posto giusto nel momento giusto.

C’è un linguaggio solidissimo condiviso da una compagnia in cui tutti, ma proprio tutti, recitano, cantano e si muovono con una perizia e una disinvoltura sorprendente.

A cominciare da Nicolo Holonics nel ruolo protagonista, malavitoso senza scrupoli sempre e di nuovo in procinto di essere fatto fuori e alla fine graziato dalla regina, non meno compromessa. Una scena che lo vede rianimarsi in extremis quando è già sulla forca, redento come l’ultimo dei derelitti nel quale rispecchiarsi, se non assolti almeno salvati al penultimo atto.

La scena, inalterata per tutto lo spettacolo, arriva dopo il prologo in cui la Luna di Soho si palesa sbucando da un elegante sipario di lamé nel volto di Josefin Platt, che intona la celeberrima ballata di Mackie Messer, più volte declinata in momenti diversi. Ma è su un’impalcatura fatta di dislivelli che ricordano un irregolare quadro svedese in cui gli attori si arrampicano, scendono, si allontanano e riavvicinano, che si sviluppa tutto lo spettacolo. Un’efficace stilizzazione che probabilmente rinvia alle macchinazioni e ai traffici loschi di quel piccolo sottobosco londinese di cui fisicamente non c’è traccia. La corruzione è andata molto oltre.

L’opera da tre soldi

Drammaturgia di Sibylle Baschung

Regia di Barrie Kosky

con Nico Holonics, Cynthia Micas, Tilo Nest, Constanze Becker, Kathrin Wehlisch, Sonja Beißwenger, Bettina Hoppe, Josefin Platt, Julia Berger, Julie Wolff, Dennis Jankowiak, Timo Stacey

Direzione musicale: Adam Benzwi

Progetto illuminotecnico: Ulrich Eh

Palcoscenico: Rebecca Ringst

Costumi: Dinah Ehm

Orchestra: Adam Benzwi, Doris Decker, Stephan Genze, Lorenz Jansky, James Scannell, Ralf Templin, Otwin Zipp.

Romaeuropa Festival, Teatro Argentina, Roma, dall’11 al 15 ottobre 2022.

Alessandra Bernocco