Il tempo delle eterotopie antropoceniche

L’informazione è informazione, non spirito o soggettività

(Gotthard Günther)

Il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman, per delineare il concetto di società liquida, nel testo Modernità Liquida (edito da Laterza, pubblicato nel 2000), utilizza in esergo della prefazione un aforisma di Paul Valéry:

Interruzione, incoerenza, sorpresa sono le normali condizioni della nostra vita. Sono diventate finanche dei bisogni reali per tante persone le cui menti non sono più nutrite[…]da nient’altro che mutamenti repentini e sempre nuovi stimoli[…] Non riusciamo più a sopportare nulla che duri. Non sappiamo più mettere a frutto la noia[…]L’intera questione si riduce a questo: può la mente umana dominare ciò che ha creato?

A questo punto la riflessione si avvicina alla visione delle strutture di potere delineate da Michel Foucault: il potere si insinua tra gli individui, divenendo ineliminabile e inevitabile.

E in senso marxista la mente umana si presta ad essere dominata da una nuova struttura, o dalle sovrastrutture,  così che la soggettività si dissolve, consapevolmente o meno, nella stessa materialità della società.

Il termine antropocene, coniato nel 2000 dal Nobel olandese Paul Crutzen,  designa l’attuale epoca geologica caratterizzata dall’enorme impatto delle attività dell’uomo su tutto l’ecosistema. Una fase della storia in cui le azioni dell’uomo hanno modificato, peggiorandoli, gli equilibri naturali del pianeta, esponendosi così ai rischi non più controllabili dagli effetti determinati delle sue stesse azioni.

Allo stesso modo l’uomo è esposto ai pericoli del progresso tecnologico non più contenibile, ma trasformato in una struttura condizionante, quindi massificante. Uno spazio-tempo che, al pari di questa era geologica,  impatta come un asteroide sulla vita e la libertà degli individui.

La nostra contemporaneità, caratterizzata da un iperconnessione digitale trasforma tutto  in un eterno presente, senza passato e senza futuro. Nunc stans, un eterno ora in grado di assorbire le nostre vite in un vortice illusorio di un presente incapace di vivere l’essenza stessa del tempo.

La definizione di questa epoca potrebbe coincidere con il termine Eterotopia, luogo diverso, o meglio dire: altro luogo.

Ancora una volta utilizziamo un termine tanto caro a Foucault, che appunto vuole rappresentare dei luoghi reali, spazi definiti, differenti da altri spazi sociali e dove gli ultimi vengono rappresentati, rovesciati, contestati.

Uno spazio, il nostro, che più che connesso potremmo definire interconnesso, sospeso tra un reale e un immaginario.

Foucault aveva individuato questi spazi nelle possibilità di sovrapporre in un solo luogo diverse localizzazioni incompatibili, un po’ come succede in teatro o al cinema.

Un sistema di aperture e chiusure che contemporaneamente isola e rende penetrabile gli spazi, esempio ne è l’immagine riflessa nello specchio. Uno spazio che Foucault individua nella sua capacità di connettersi con strutture esteriori, nella forma estrinseca e immediatamente percepibile.

foto dal web

In questo concetto rientrano anche organizzazioni come il carcere, o fasi della vita come l’adolescenza o la vecchiaia, noi potremmo associarlo a quello spazio fittizio dell’universo digitale e virtuale, di quella struttura condizionata comunque da un controllo che trasforma gli individui in esseri oggettivizzati.

Come vivere in una struttura panottica senza averne contezza, ma vittime dell’inganno di una falsa libertà. Se è vero che ogni civiltà e ogni epoca produce eterotopie,  quella contemporanea è tutta virtuale.

L’impatto delle moderne tecnologie comporta un inesorabile assottigliarsi della materialità, il nostro tempo sembra smaterializzarsi  e con esso anche la nostra stessa soggettività.

La prospettiva è quella di una riproduzione illusoria di un universo con il quale abbiamo perso quel legame profondo per instaurarne uno con una virtualità che spezza i legami tra le persone, trasformandoli in codici che attraversano infrastrutture digitali in tempo reale, ma che con altrettanta immediatezza si dissolvono.

Potrebbe sembrare quasi un paradosso come, nella società votata ormai al consumismo più sfrontato, tutto intorno a noi si stia lentamente smaterializzando, ma comunque tutto rimane ancorato alla materialità dei sistemi economici legati al capitale, alla produzione e all’inevitabile sfruttamento di risorse naturali  e umane.

Il denaro, i servizi e le stesse relazioni tra le persone sono affidate a scambi compulsivi di codici e di una  messaggistica che trasforma ogni tipo di rapporto in un freddo sistema segnico codificato, dettato da una tecnologia che ha soppiantato il desiderio dello stesso contatto umano.

foto dal web

Sembra quasi che la visione distopica di George Orwell nel romanzo 1984, scritto a metà degli anni ’50 si sia compiuta  e il Grande Fratello che, controlla e condiziona la vita di tutti noi è questa moderna tecnologia e ha il suo quartiere generale nella Silicon Valley, lì dove negli anni ’80 del secolo scorso qualcuno ha pianificato questa operazione di controllo mondiale.

Da allora, sempre secondo un concetto sociologico introdotto da Bauman, tutto si è trasformato in una dimensione fluida, lo stato tipico dei gas e per questo in continuo mutamento.

Non esiste più la stabilità dei corpi solidi, non c’è resistenza e proprio per questo, secondo la visione di Bauman, non si creano legami temporali. Ritorniamo a quell’eterno presente in cui tutto scorre, filtra attraverso un segnale digitale che si muove in un tempo ridotto a zero.

Viviamo in una realtà in cui lo spazio pubblico è stato svuotato e quello virtuale si sta trasformando in quella Caverna di Platone in cui ognuno di noi vive all’oscuro di quelli che possono essere i rapporti umani costruiti su uno scambio di idee, ombre riflesse che impediscono di cogliere l’essenza degli sguardi  e annullano ogni possibile processo di empatia, quasi impossibile in universi virtuali.

Siamo completamente assorbiti da una realtà tecnologica colpevole di una spersonalizzazione dell’individuo che, via via, sta perdendo le sue stesse radici identitarie e il vero volto dell’umanesimo.

Qualcosa che ricorda quella visione pasoliniana espressa in un monologo nel film Porcile, film diretto dallo stesso Pasolini nel 1969,  in cui il signor Herdhitze dice all’industriale borghese Klotz che il problema del futuro non sarà più individuale, non vedendo nessuna traccia di cultura umanistica.

Di certo una terribile premonizione, visione profetica di una nuova era tecnocratica. Viviamo il constante disagio di una bulimia che ci porta a ingurgitare una quantità d’informazioni che non siamo neanche in grado di ingerire, destinate a essere rigurgitate ed esponendoci a un vuoto culturale e umano tipico del nostro tempo.

La strada che stiamo percorrendo non è più quella della ricerca di “un tempo perduto”, tratteggiata e percorsa da Marcel Proust, non c’è spazio per il tema della memoria, del ricordo e del valore soggettivo delle emozioni.

Non c’è tempo da dedicare a  quel flusso di coscienza narrato nell’Ulisse di Joyce, perché il viaggio interiore dei protagonisti di questa realtà sociale non può essere contenuto nel breve spazio-tempo di un’informazione digitale che come prima cosa, dopo un qualsiasi  titolo indica il tempo di lettura, stando bene attenti a non sforare i 3 minuti.

Abbiamo perso il gusto di fermarci per osservare noi stessi e il vero volto della natura, il mondo reale e non quello visto attraverso realtà aumentate che ci proiettano in una nuova eterotopia che altro non è che un tempo di crisi.

Il nostro tempo, la nostra crisi della soggettività, ceduta inconsapevolmente alla virtualità spettacolarizzata.  Il tempo della poesia, così come l’arte in genere, si trasforma in momento prezioso, da preservare come bene raro, esposto alla minaccia dell’estinzione, fagocitato da una crescente omologazione culturale che non riconosce più gli individui come entità soggettive.

La poesia è capace di parlare di emozioni universali, anche in questo tempo che la espone al serio rischio di estinzione, una costante scomparsa delle lucciole, delineata già da Pasolini come provocazione politica, presagio del nostro tempo.

Intanto, a guardare indietro, ad un altro tempo fatto di altre eterotopie, scopriamo che Leopardi è ancora là, vivo mentre racconta le emozioni del sabato, mentre attende la festa della domenica.

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Vivo nel villaggio che vive di vita vera , di allegria e di sogni, di quelle stesse speranze oggi finite nel vortice di un tempo che non avrà memoria.

Questa eterotopia, lo spazio creato in stretta relazione con tutti gli aspetti della nostra esistenza, riflessa nella dimensione digitale, illusoria e controllata potrebbe essere il perfetto sinonimo del termine antropocene, le conseguenze dell’uno e dell’altro fenomeno sono terribilmente impattanti sulla vita del pianeta quanto su quella di ogni singola individualità.

di Maria Concetta Loria

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