Tra l’Amazzonia e la Sierra Leone. Storia e storie con Milo Rau e Princess Isatu.

I grandi si sentono grandi solo perché noi siamo in ginocchio: alziamoci!
(Louis Marie Prudhomme))

Si fatica moltissimo a trovare la concentrazione per scrivere e riflettere di lotte lontane nello spazio o nel tempo.

E benché non si tratti di lotte risolte e pacificate, di cause perse o sospese, lasciate alla rassegnazione incolpevole di chi poco può fare per contribuire a risolverle, sono cause che scottano meno di tutto quello che ci precipita addosso in questo maledetto momento.

Resettare il presente non è possibile, la cronaca incandescente grida sempre più forte lasciandoci muti, paralizzati, incapaci di dire e fare qualcosa che abbia la parvenza di senso.

Eppure si prova, perché i racconti emersi da due lavori importanti che Romaeuropa  ci ha da poco proposto meritano davvero attenzione, su più fronti.

Si tratta di Antigone in Amazzonia di Milo Rau e Great apes of the west coast di Princess Isatu Hassan Bangura.

Il primo risponde in modo paradigmatico a quella che è la direttiva del Manifesto di Gent, ovvero il decalogo stilato da Rau in veste di direttore artistico di NTGent ,  che al primo punto recita che attraverso il teatro “non si tratta più soltanto di rappresentare il mondo. Si tratta di cambiarlo. L’obiettivo non è quello di rappresentare il reale, ma di rendere reale la rappresentazione stessa”.

Questo manifesto, corroborato dall’autopresentazione di Rau come artista e attivista, vale come riferimento di ogni giudizio e prescindere da esso non è possibile. 

Il secondo è il racconto di un segmento di storia afro-occidentale attraverso la voce di una performer africana di non ancora trent’anni, Princess, che con il suo sguardo, i suoi ricordi e con il suo corpo, fortemente performativo, si fa tramite vivo di cultura e culture.

Partiamo da qui. Dall’incontro tra culture e linguaggi declinati da una giovane donna nata in Sierra Leone, migrata nei Paesi Bassi e lì diplomatasi alla Drama Academy di Maastricht.  Una donna che non ha mai scordato le sue radici che qui riaffiorano con uguale grazia e prepotenza e sembrano rivendicare una natura che riguarda anche noi.

Princess, si legge nel programma di sala, “vuole reclamare la narrazione delle Grandi Scimmie e ribaltare ogni connotazione negativa con il regno animale”.

Eccola allora esordire con un movimento ancestrale del collo e della nuca, le gambe immobili e salde sul posto, mentre la luna piena sopra la capanna di paglia e foglie che vediamo sulla scena – una distesa di sabbia – ci dice di “non guardare dove cadi ma dove inciampi”.

Quel che ci lascia e quello a cui mira questa piccola epica individuale è proprio l’emancipazione dall’individualità, da un soggettivismo scaduto che Princess richiama attraverso il cogito cartesiano – cogito ergo sum – superato nel “io sono perché noi siamo”. Noi: moltitudine di io che ricordano e che ricordando condividono una memoria. Memoria individuale che si fa collettiva. Memoria collettiva che si fa presa di coscienza. Presa di coscienza che si fa sentimento di appartenenza: appartenenza a una specie, derivazione da un’origine sola.

Portami a casa, all’origine”: da questa richiesta rivolta a sé stessa si dispiega il racconto biografico che condivide con noi, dove la storia di un popolo che ha vissuto lo strazio della guerra civile, si fonde con la percezione che Princess ha avuto di essa: lei, nata nel ’96, in pieno conflitto, ma “sotto l’abbraccio caldo della luna”, ci rende partecipi del suo viaggio a ritroso, verso “gli odori e i sapori della sua terra rossa”, anche di sangue, tra i boati delle bombe che paiono “il ruggito delle montagne a forma di leoni”, dove anche “l’aria è impregnata della nostra stanchezza”, dove una bambina “sa come correre ma non dove nascondersi”.

C’è, nel racconto di Princess, l’animismo primitivo degli Dei e dei bambini, quello che ti soccorre quando tutto sembra perduto, quello che aiuta a difendersi e a sopravvivere, perché “dal bisogno di sopravvivere nascono gli istinti e si sviluppano le azioni”.

Forse c’è anche l’innocenza di Antigone che sa quello che nessun uomo le ha mai insegnato: che la giustizia non è la legge, che la nemesi non è la vendetta, che il ravvedimento può esser tardivo.

C’è una battuta stupenda in Antigone in Amazzonia, una di quelle battute che ti fanno venire voglia di abbracciare chi l’ha scritta: “Quando compaiono i veggenti è già troppo tardi”.

Questa battuta, riferita non senza ironia all’orizzonte normativo della tragedia greca, serve non soltanto a spiegare il ritardo con il quale si pretende di salvare il pianeta – e nella fattispecie la foresta amazzonica e i suoi abitanti – ma ci immette immediatamente nella considerazione successiva, attribuita a un filosofo indigeno: “il nostro mondo è finito cinquecento anni fa e siamo ancora qui. Ma sono preoccupato per voi bianchi che non siete abituati all’Apocalisse”.

L’Apocalisse. Cos’è, l’Apocalisse, in un paese come il Brasile che ha alle spalle cinquecento anni di genocidio di popolazioni indigene, un Paese in cui “se sei nero, omosessuale o trans puoi essere assassinato in qualsiasi momento”, un Paese in cui “il suicidio non è per depressione ma perché la vita è insopportabile”, un Paese che ha vissuto anni di dittatura militare quando “censure, torture, desaparecidos” erano all’ordine del giorno, un Paese, che si è appena liberato da un  tiranno come Bolsonaro che “si complimentò con gli assassini”?

Gli assassini. Gli autori del massacro del 17 aprile 1996 quando i contadini uniti nel movimento lavoratori senza terra (Mst) nella guerra scatenata dai latifondisti vennero letteralmente massacrati dalla polizia che sparava nel mucchio, ad altezza uomo.

In quel luogo non tornò soltanto il presidente ‘uscito’ per celebrare il massacro quando ancora era in carica, ma Milo Rau e il suo gruppo di attori poiché, quinto punto del manifesto, “almeno un quarto del tempo di prova deve svolgersi al di fuori di uno spazio teatrale”.

In questo caso nel cuore dell’Amazzonia insieme a una schiera di attivisti e sopravvissuti al massacro, per rispondere all’esplicita consegna di allestire uno spettacolo politico in cui fosse presente il coro.

Di qui la scelta di mettere in scena Antigone e di affidare il ruolo a un’attivista indigena, Kay Sara, che abbiamo visto soltanto in video poiché, si dice, “è ora tornata dai suoi abitanti”. Pertanto le sue battute sono state porte dallo stesso attore che interpreta anche il ruolo di Polinice (Frederico Araujo).

Una convenzione che non disdice l’allestimento dove la priorità è la narrazione dei fatti e la tragedia greca è una sorta di modulo attraverso cui declinare il rapporto tra la miopia di un potere che si regge sul terrore e la lungimiranza di una giustizia che resiste, inascoltata e sola. “Quelle persone concorderebbero con me, se non fossero terrorizzate da te

Per un’analoga esigenza narrativa, il ruolo di Creonte è affidato a un’attrice (Sara De Bosschere) che si qualifica fin dall’inizio, a evitare fraintendimenti. Ma poco importa, davvero, la rispondenza plausibile tra personaggio e attore.

Il teatro – recita il secondo punto del manifesto – non è un prodotto ma un processo di produzione”. E in tale processo l’importante è capirsi e stare ai patti, a maggior ragione se dichiarati.

Lo spettacolo si muove su due piani, il palcoscenico e un video che non risparmia, e fa bene,  scene crude di massacro, corpi a terra, spargimento di sangue, frammenti di cervello, ma anche immagini belle della foresta amazzonica, dove ancora si vive “con il ritmo della luce” e dove i bambini a scuola prendono confidenza con due mondi distinti e imparano a farli dialogare: perché al mattino, ci spiegano, si studia cosmologia indigena ma al pomeriggio storia moderna.

La formula che fa interagire scene sul palco e proiezioni – video girati sul posto dai medesimi attori che vediamo in scena o documenti di repertorio – non è certo nuova ma funziona bene, soprattutto quando un piano è amplificazione dell’altro e l’altro piano riproduzione concisa del primo.

Uno spettacolo importante che ci lascia con una domanda a cui si è sempre chiamati a rispondere, in qualunque e per qualunque parte del mondo.

Cosa rispondiamo, infatti, allo stolto Creonte che con la coda ormai in mezzo alle gambe, preoccupato per il suo trono sbilenco,  chiede “Se qualcuno sfida il divieto, voi da che parte vi schierate?

Certo è che di fronte alla performance che replicava la scena reale del massacro di venticinque anni fa, la polizia stessa pareva non credere. Per questo, si dice: “Questa manifestazione è anche per voi”.

IDEAZIONE E REGIA
Milo Rau
TESTO
Milo Rau
IN COLLABORAZIONE CON
Movimento dos Trabalhadores
Rurais Sem Terra (MST)
CON
Frederico Araujo, Sara De Bosschere, Pablo Casella, Arne De Tremerie
IN VIDEO
Kay Sara, Gracinha Donato, Célia Marácajá
e il Coro dei Militanti del Movimento dos
Trabalhadores Rurais Sem Terra – MST
e, nel ruolo di Tiresia, Ailton Krenak
DRAMMATURGIA
Giacomo Bisordi
COLLABORAZIONE ALLA DRAMMATURGIA
Martha Kiss Perrone, Douglas Estevam da Silva
ASSISTENTI ALLA DRAMMATURGIA
Kaatje De Geest, Carmen Hornbostel
COLLABORAZIONE ALL’IDEAZIONE,
ALLA RICERCA E ALLA DRAMMATURGIA
Eva-Maria Bertschy
VIDEO
Moritz von Dungern
MUSICA
Elia Rediger
Pablo Casella
SCENOGRAFIA
Anton Lukas
COSTUMI
Gabriela Cherubini, Jo De Visscher, Anton Lukas
LUCI
Dennis Diels
VIDEO MAKING OF E VIDEOCLIP MUSICALE
Fernando Nogari
MONTAGGIO VIDEO
Joris Vertenten
ASSISTENTE ALLA REGIA
Katelijne Laevens
ASSISTENTI ALLA REGIA VOLONTARIE
Chara Kasaraki, Lotte Mellaerts
RESPONSABILE DI PRODUZIONE
Gabriela Gonçalves, Klaas Lievens
ASSISTENTE DI PRODUZIONE Jack Dos Santos
RESPONSABILE TECNICO
Oliver Houttekiet
DIRETTORE DI SCENA
Marijn Vlaeminck
UN RINGRAZIAMENTO A
Carolina Bufolin
PRODUZIONE
NTGent
COPRODUZIONE
International Institute of Political Murder – IIPM,
Festival D’Avignon, Romaeuropa Festival,
Manchester International Festival,
La Villette (Parigi), Tandem (Arras-Douai),
Künstlerhaus Mousonturm (Francoforte),
Equinoxe – Scène Nationale (Châteauroux),
Wiener Festwochen (Vienna)
IN COLLABORAZIONE CON
Movimento dos Trabalhadores Rurais
Sem Terra (MST)
CON IL SOSTEGNO DI
Goethe Institut – San Paolo, PRO HELVETIA
programma COINCIDENCIA – Scambi culturali tra
Svizzera e America Latina, The Belgian Tax Shelter

Crediti

Ideazione, testo, scenografia, regia e performance: Princess Isatu Hassan Bangura
Drammaturgia: Giacomo Bisordi
Musica: Edis Pajazetovic
Costumi: Tricia Mokosi
Luci: Sander Michiels
Performance: coach: Peter Seynaeve, Reintje Callebaut
Assistente alla direzione: Elli De Meyer
Responsabile di produzione: Greet Prové
Direttore tecnico: Oliver Houttekiet
Tecnica: Predrag ‘Momo’ Momcilovic, Lars Hollemeersch

di Alessandra Bernocco