Le cose son cambiate ma questo è già successo/il mondo ha fatto un giro nel tempo di un respiro/cammina per le strade saluta il nuovo giorno/che anche se non vuoi adesso tocca a noi/noi siam qui come tutti quei lunedì/
a guardarci nell'anima a cercarci nell'anima/noi che qui non dovevamo esserci/noi duri ma fragili/come angeli di città/siamo caduti qua
(Gianluca Grignani, Angeli di città)
Due che mettono soggezione. Per come, giocando, si mettono a nudo. Per come giocano mettendosi a nudo. Jouer, to play. Il teatro senza fraintendimenti. Ce lo dispensano in un’acrobatica ora e mezza due giovanissimi istrioni del palcoscenico, Alessandro Bandini e Alfonso De Vreese, attor giovani, si sarebbe detto una volta, virgulti pieni di belle speranze a cui si rispondeva con promesse attendibili. Under trenta, trentacinque, abbiamo preso a dire adesso: da quando sparuti finanziamenti con bandi dedicati hanno finto di incoraggiare le giovani leve per far fuori gli over meritevoli senza tante spiegazioni. Tant’è. Quello che è certo è che questi due, di under, hanno soltanto l’età.
Il testo è una rocambolesca e assai verosimile storia d’amore scritta da un altro under trenta o giù di lì, Diego Pleuteri, al quale il regista over trentacinque ma under quaranta Leonardo Lidi ha di nuovo dato fiducia perché è giusto non aspettare che un giovane autore sia stanco di provare a fare l’autore e venga preso sul serio finché siamo in tempo. (Mi disse pressappoco così in una recente intervista).
Perché il punto, se non fosse criterio abusato e sbandierato da questi bravi governanti in carica, è sempre il merito. Il talento. Il lavoro.

Si percepisce tanto lavoro dietro questo spettacolo a due, anzi a quattro, ci saranno giorni e giorni di prove, faticose come quelle degli atleti agonisti prima di una gara importante.
Come nei giorni migliori è arrivato al Teatro India di Roma dove sarà in scena fino a domenica 25 maggio, ben rodato e forte di un consenso trasversale di critica e pubblico, che viene coinvolto (senza arroganza) e chiamato in causa più di una volta con reciproco divertimento.
Al centro c’è il corpo e c’è la parola, il corpo dialettico e la parola performativa. Nient’altro, a parte le luci con una precisa funzione drammaturgica e pochi oggetti recuperati all’occorrenza, agli angoli della scena, tra il proscenio e la platea.
Il corpo che parla con la sua dirompente energia e le giovanili impellenze, e la parola che incide nella nudità della scena traiettorie di senso, le spezza, slitta, disattende e sorprende, a volte traina e a volte segue il corpo in virate repentine.
Di toni e colori, di contesto, di ritmo che accelera e poi di colpo si arresta, di dialoghi serrati (sempre fatta salva la beata articolazione) che si interrompono in cupi silenzi.
Il corpo viene messo continuamente alla prova e se la supera viene premiato e riconciliato almeno per un po’ con la testa e il cuore, liquefatto in abbracci stretti stretti, in baci appassionati, in quasi amplessi giocosi o giocosamente feroci che sono uno spasso anche a vedersi.

Provo a dire che il tessuto drammaturgico, oltre a citare espressamente I ragazzi che si amano di Jacques Prévert, beneficia di qualche suggestione da teatro dell’assurdo, sapendo che il regista mi collocherà tra le attempate vittime dello spettro beckettiano, ma pazienza.
Resta che qui si racconta benissimo la solita storia di amore e dolore. La solita, perché i due si amano come si amano tutti, secondo il copione già letto di un rapporto di coppia che vive di slanci, tentennamenti, conquiste, cedimenti, desideri a fasi alterne di stabilità e libertà, sogni che inseguono destinazioni divergenti, progetti di convivenza e bisogno di solitudine, tradimenti rivelati sul filo di lana e rappresaglie capricciose per mandarti a monte sul più bello una partenza programmata, e poi ripensamenti fuori tempo massimo, ritorni tardivi, reciproche accuse e rivendicazioni, insomma, siamo dentro la solita griglia in cui tutti o quasi ci possiamo riconoscere.

La differenza è che in ciascuna griglia succede la vita e la vita è soltanto la tua. La vita, non già la biografia. Raccontarla, travasarla in parole e incarnarla su un palco di fronte a una moltitudine di destinatari senza nome, è sempre una sfida. E la vita che freme in questi adorabili energumeni poco più che trentenni è nutrita da una dose da cavallo di sentimenti belli e brutti che poco hanno a che fare con il responso anagrafico: paura, timidezza, vergogna, senso di perdita, ansia abbandonica, passione smodata fatta di desiderio seduzione gelosia e poi amore, amore che prova a resistere al di là dei caratteri e della visione del mondo, e forse ci riesce. E su tutto, un erotismo alle stelle che ti rovesciano addosso, dalla prima battuta fin dopo i saluti. Ora sono solo affari nostri. “Loro sono altrove, più lontano della notte, più in alto del sole”.
di Alessandra Bernocco
Come nei giorni migliori
di Diego Pleuteri/regia Leonardo Lidi/con Alessandro Bandini e Alfonso De Vreese/scene e luci Nicolas Bovey/costumi Aurora Damanti/foto Luigi De Palma/produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale