Quel che ci importa è di non sentire la voce
del colpevole in persona, questa voce carnale
e tremante che seduce la gioventù, questa voce
soffocata che mormora nel piacere, questa voce
canagliesca che racconta una notte d’amore. Bisogna
che il pederasta resti un oggetto, un fiore, un insetto,
un abitante dell’antica Sodoma o del lontano Urano,
un automa che saltella alle luci della ribalta, tutto
quel che si vuole tranne che il prossimo mio,
la mia immagine, me stesso. Poiché bisogna scegliere:
se ogni uomo è tutti gli uomini, bisogna che questo traviato
sia soltanto un sasso o che sia me stesso
(Jean Paul Sartre, Saint Genêt, commediante e martire)
Improvvisamente l’estate scorsa è il dramma più simbolico e visionario ti Tennessee Williams. L’opera in cui, oltretutto, l’autore americano ha inserito molti riferimenti alla sua vicenda personale e familiare.
Sono espliciti i riferimenti ad una omosessualità vissuta con molti sensi di colpa, in un periodo in cui Williams veniva invitato dal suo medico personale a reprimerla, e alla vicenda della sorella Rose, sottoposta ad un intervento di lobotomia con il consenso della madre.
La trama si sviluppa come un thriller psicologico intorno alla misteriosa morte di Sebastian, che non appare mai in scena, se non richiamato come una visione spettrale dai suoi vestiti indossati dal cugino.
Le vere protagoniste sono due donne, che presentano però due verità contrapposte: Violet Venable, la madre di Sebastian, interpretata in questa messa in scena da Laura Marinoni, che offre del figlio l’immagine di un poeta casto e puro tutto dedito alla sua arte, e morto, come recita la versione ufficiale, per cause naturali; all’opposto abbiamo Catharine Holly, l’attrice Leda Kreider, la cugina che ha trascorso con Sebastian l’ultima estate a Cabeza de Lobo sulla costa spagnola, e che è stata testimone della sua morte. Catharine che ha subito uno shck in relazione a quell’avvenimento, invece, pur con la mente offuscata, sembra dare a tratti un’altra versione, più scabrosa e conturbante, della vita e della morte del ragazzo. Allo psichiatra dottor Cukrowicz, il “dottor zucchero”,
interpretato da Edoardo Ribatto, spetta il compito di scoprire chi dice la verità, anche perché Violet, disposta a tutto pur di difendere la memoria del figlio, vuole che Catharine venga sottoposta ad una lobotomia per curarla dalla sua presunta pazzia e mettere a tacere le sue farneticazioni. A questo proposito ha promesso una ingente somma di denaro come donazione all’ospedale in cui lavora Cukrowicz e ha disposto un lascito di 100mila dollari per la famiglia di Catharine, madre e fratello, l’attrice Elena Callegari e l’attore Ion Donà, se acconsentiranno all’operazione.

L’allestimento curato da Stefano Cordella presenta un impianto antirealistico e onirico: il tenore emotivo dei personaggi è sottolineato dal disegno luci di Marzio Picchettti, mentre la scenografia di Guido Buganza allude alla croce latina delle basiliche e offre uno spazio a più dimensioni: il lussureggiante giardino tropicale abitato da piante carnivore sollevandosi rimane sospeso come un inquietante baldacchino, quasi un ciborio, mentre sotto il materiale organico si nasconde un’automobile incidentata, simbolo, a me pare, di una interiorità devastata, lobotomizzata, non più rifugio sicuro.
Nel periodo in cui scriveva quest’opera, Tennessee Wiliams si era avvicinato alla religione cattolica, da qui molto probabilmente la scelta registica di ambientare il dramma in uno spazio liturgico in cui l’indagine interiore sembra procedere come una sacra rappresentazione.
Il regista giustamente ha creato le condizioni affinché i dialoghi e i monologhi del testo risaltassero in tutta la loro potenza ed efficacia. Agli attori è concesso molto spazio per tratteggiare i loro personaggi, anche perché tutta la forza, la crudeltà e l’angoscia che trasmette lo spettacolo sono nelle parole che dicono i protagonisti.
Di fatto è come se si assistesse ad una seduta psicoanalitica, disciplina a cui Williams si era avvicinato, in cui è il paziente stesso preso nel suo flusso narrativo a rivelarsi, rimuovendo le censure poste dal suo subconscio, incalzato dagli interventi misurati dell’analista.
È questa la funzione del dott. Cukrowicz e anche del pentothal, il cosiddetto siero della verità, che il medico inietta a Catharine, permettendole di far affiorare il ricordo rimosso e raggiungere la catarsi, mentre Violet si immerge ancor più nei propri deliri.

Così attraverso il testo, risaltano tutti i temi prediletti da Tennessee Williams: la forza devastante dei sentimenti, la brutalità e la follia che ne possono derivare, la dubbia rimozione dei traumi del passato e il loro riemergere nel presente, l’ambiguità delle relazioni umane, il complesso edipico, le verità indicibili da cancellare, tutto sullo sfondo di una borghesia americana ipocrita e perbenista.
In particolare, il drammaturgo americano offre una descrizione impietosa dei legami affettivi. L’amore è rappresentato come un sentimento per lo più morboso che permette di soggiogare e manipolare le persone, infatti tutti i personaggi lo usano per ottenere favori, soldi o sesso.
Ma anche la religione e l’arte non ne escono bene, perché anziché dare senso all’esistenza, sono solo apparenza dietro cui nascondere desideri inconfessabili.
Ma cosa è avvenuto “improvvisamente l’estate scorsa”, che se fosse svelato rovinerebbe per sempre la reputazione di Sebastian, all’apparenza un giovane dandy, colto e raffinato? Ogni estate, Sebastian e la madre partono per un viaggio in luoghi esotici dove lui può coltivare la sua passione per le piante e gli uccelli rari, continuare la sua personale e solitaria ricerca di Dio e dedicarsi alla poesia. L’ultima estate, però, Violet è colpita da un leggero ictus, e Sebastian decide comunque di partire con la cugina Catharine.
La ragazza, fragile e immatura, è totalmente soggiogata dal cugino di cui è in fondo innamorata. Lei lo ama per la sua gentilezza e la sua generosità, che si manifesta in regali costosi e soggiorni in alberghi di lusso, ma anche Sebastian in qualche modo la “ama”, perché può usarla come esca per le sue avventure omosessuali, come del resto usava la madre.

Ma mentre con Violet frequentava il bel mondo, con Catharine il territorio di caccia è diverso.
La giovane età e l’ingenuità della ragazza attirano una fauna giovane, abbrutita dalla fame e dalla povertà, che suscita molto spesso repulsione.
È durante una di queste “cacce”, in cui Sebastian ha fatto indossare a Catharine un costume semitrasparente col fine di provocare dei ragazzi per ottenere in cambio dei favori sessuali, che la ragazza assiste alla morte del cugino, letteralmente divorato in un atto di cannibalismo da quelle che dovevano essere le sue prede.
Traumatizzata, Catharine viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico, ma lei non è pazza e oltretutto dice la verità, anche se la zia, vuole farla operare per togliere credibilità alle sue parole. Il regista Cordella può contare su due attrici che reggono il loro ruolo, i loro monologhi sono efficaci e non attenuano in nulla l’antifemminismo che domina nell’opera di Tennessee Williams.
Violet è una vera madre “mostro”, forte e dispotica, anche se si nasconde dietro una maschera di fragilità ed instabilità; Catharine, pur sottomessa, non è da meno di Violet nella sua volontà di dominio su Sebastian.
La lotta dei sessi in Williams non concede tregua, o si vince o si perde, e la donna in questo caso è il vero spauracchio.
Bene fa Cordella a sottolineare il carattere barbarico del testo. Infatti, c’è un costante richiamo di Tennessee Williams al Mito di Dioniso e alla tragedia della Baccanti.
Sono molti i segni che portano al dio greco del vino, dell’ebrezza orgiastica, della fertilità e del teatro, e alla tragedia di Euripide: Sebastian racchiude in sé sia la figura di Dioniso, lo straniero ambiguo e raffinato, sia quella di Penteo, il re di Tebe che nella tragedia è inseguito, assalito e divorato dalle Baccanti.
Non dimenticando che, anche se lo stesso dio greco morì sbranato dai Titani. Lo smembramento e il pasto delle carni crude di cui è vittima Sebastian porta direttamente ai riti dionisiaci. La torma chiassosa dei giovani cenciosi e affamati che circondano i due americani, suonando vecchi strumenti di latta, rimanda ai timpani delle Baccanti.
L’affinità profonda tra le due opere riguarda la dialettica tra trasgressione, colpa e espiazione tramite il sacrificio di sé che è uno dei punti centrali del testo di Williams e dei riti dionisiaci. È su questa base che in certe epoche si arrivò all’identificazione di Dioniso con Cristo.
Su quest’ultimo punto poi, come ha osservato Marcel Detienne, “il fascino esercitato da Dioniso sulle ideologie del sacrificio, non ha altro segreto che la connivenza, già antica, di questo dio con le immagini della delimitazione dell’uomo tra due mondi che si contrappongono, dei da una parte, bruti dall’altra”.
Improvvisamente l’estate scorsa è costantemente attraversata da questa contrapposizione: un dio remoto che tace (perché indifferente o anche lui malvagio?), da una parte, e una natura abietta e crudele dall’altra (piante carnivore con le foglie dentate piene di insetti e uccelli che divorano i cuccioli-hatchlings delle tartarughe), con l’uomo che sta in mezzo e deve sottrarsi alla logica della jungla.
Improvvisamente l’estate scorsa di Cordella è dunque uno spettacolo classico che ripropone correttamente quanto negli anni ’50 del secolo scorso era una novità (antropologia e critica della religione, psicoanalisi e scienza del mito) e in questo dà l’impressione di uno spettacolo riuscito ma anche di un’operazione archeologica che restituisce un reperto del passato senza però rivitalizzarlo.
Anche perché non sempre il senso dei riferimenti culturali si mantiene univoco nel tempo. Le stesse relazioni omosessuali stanno vivendo un processo di normalizzazione e non sono vissute più come una trasgressione, da affrontare con atteggiamenti anticonformisti, o da punire con la reclusione, l’elettroshock o la lobotomia.
Quindi può apparire sorpassata la posizione sul tema del drammaturgo americano che tratteggia Sebastian come una figura dionisiaca, spinto dalla forza devastante della sua passione oltre i limiti di sé stesso e della società fino alla follia, anche se rimane la paura della società verso una condizione che viene vista come un perdita dell’integrità e una dissoluzione dell’identità. Infine, oggi a Dioniso, è attribuita non solo una forza distruttiva, ma anche una forza trasformativa e costruttiva, perché è un dio ibrido che offre una visione positiva della fluidità dell’identità.
di Bruno Milone
Spettacolo visto al TEATRO CARCANO di Milano
IMPROVVISAMENTE L’ESTATE SCORSA
di Tennessee Williams
traduzione Monica Capuani
regia Stefano Cordella
con (in ordine alfabetico) Elena Callegari, Ion Donà, Leda Kreider, Laura Marinoni, Edoardo Ribatto
scena Guido Buganza
costumi Ilaria Ariemme
disegno luci Marzio Picchetti
suono Gianluca Agostini
assistente alla regia Noemi Radice
produzione LAC Lugano Arte e Cultura
coproduzione Teatro Carcano
partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco
foto Luca Del Pia
Improvvisamente l’estate scorsa è presentata per gentile concessione della University of the South, Sewanee, Tennessee