“E canto canto, canto col tamburo”

Dall’Africa viene sempre qualcosa di nuovo.
(Proverbio)

Ruggero Artale è uno studioso del ritmo, e nella contaminazione che fa tra il “suo suono”, carico di vissuto e studio, e la musica africana tribale, carica di misticismo e primitivismo, ci regala suggestioni nuove e una visione degli strumenti a percussione come un ritrovamento della nostra antica e profonda provenienza da quel continente melanconico e ribelle che è l’Africa.

C’è, anche nel suo portamento, lento e denso, quell’atteggiamento spirituale che contorna la sua personalità, subito evidente mentre suona i suoi amati e curati djembe, quelle “casse cave di legno a forma di calice” che tratta come persone che portano la loro storia.

Oltre alla spiritualità cercata nella musica tribale, ci sono in Artale e nella sua band un’ispirazione e un potenziale che restituiscono al genere una neoincubazione occidentale molto interessante.

La musica africana, superata l’etichetta di “world music”, che in un certo senso la metteva in un angolo, cresce da tempo come sperimentazione di nuove fusioni e interpretazioni culturali, si fa sfondo, ritmo, per i nuovi impulsi, flussi sonori, del nostro contemporaneo. Non a caso da musica tradizionale e portavoce di una memoria collettiva estranea alla nostra, fin dallo schiavismo, attraverso canti e melodie spirituali, si è ben presto trasformata in tanti altri generi, per esempio in blues, diventando lirica, e da originaria (etnica appunto), come espressione linguistica del continente di origine, caratterizzata dal ritmo frenetico dei suoi tamburi, è diventata sempre più “moderna” influendo su quasi tutti i “motivi” della musica occidentale, ormai oltrepassando il rock.

foto di Fabrizio Maiorano

La sua caratteristica insuperabile è la poliritmia, la capacità di sviluppare diversi ritmi che si incastrano senza prevaricare, per darci una dimensione corale degli strumenti e dei suonatori, ma anche dei popoli, come se arrivassimo tutti da lì, dall’Africa, con un impatto emozionale fortissimo che viene, da una parte interiorizzato come canto, come melodia, memoria collettiva, e dall’altra esaltato in balli e gesti simbolici, animistici, visionari, di delirante fuga verso il futuro e altre impostazioni sonore.

Ruggero Artale e la sua band, la Artale Afro Percussion Band, riescono perciò in una sintesi molto sofisticata fra ciò che la musica africana porta con sé da secoli e ciò che di nuovo riesce a raccontare fra le pieghe e piaghe urbane della nostra (in)civiltà.

In questo disco del gruppo, “Roma Dream African Drums” (Finisterre Records), che abbiamo ascoltato con molta attenzione, soprattutto dopo aver partecipato al concerto dallo stesso titolo, nell’ambito del “Colosseo Festival. Roma 04.09.2024” (un festival di prestigio organizzato da Jazz & Image e Alexander Platz), il richiamo che Artale fa alla musica africana, conosciuta per le sue ninna nanne, i canti funebri e dei matrimoni, della caccia e della guerra, del pianto e della perdita, dell’anima delle cose e del valore unico dei popoli, rende alla cultura musicale africana una chiave di lettura stavolta delle nostre angosce e tristezze, ma anche un viatico eccitante per l’allegria e il superamento delle stesse.

Senza volere intellettualizzare troppo, c’è una ricerca musicale, sì rispettosa del passato, ma che guarda al futuro con nuove di-spiegazioni della cultura tribale nel nostro mondo, fatto ora di sbarchi, morti in mare, e giovani africani lasciati soli ad affrontare l’approdo in queste nostre altre culture per certi versi ostili. Senza difese. E così parla anche di noi e del nostro modo.

foto di Fabrizio Maiorano

La delicatezza di Artale nel suonare le percussioni africane, sembra un ossimoro, è una delicatezza appunto intellettuale, perché occidentale, consapevole, che non vuole abusare, sopraffare, snaturare, ma sublimare, interiorizzare, suggerire, offrire. E questa musica è un’offerta, un’offerta al cielo e al kaos di Roma. Un kaos di sentimenti che trova con atavico impulso il suo ritmo.

Nel concerto che è stato organizzato nel settembre scorso, con lo sfondo del Colosseo, l’immagine che ci portiamo dietro è proprio quella stessa che ci appare sulla copertina del CD, già di diversi anni fa, i cui pezzi sono stati ripresi per l’occasione (copertina realizzata dalla nota pittrice Mavie Cartia), CD che raccoglie i brani meravigliosi, diversi presentati in quell’occasione, e di cui consigliamo l’ascolto con ulteriore attenzione. Così come consigliamo di andare su youtube al link: https://youtu.be/qWLlfAcb4bw per vedere il video di cui stiamo parlando: “The best of Artale Afro Percussion Band”.

Gli spettatori erano contenti, cantando e ballando come se conoscessero lo spirito antico che li animava a quella festa, e quello spirito viene fuori ogni volta che si ascolta quest’opera davvero molto pregiata (è possibile ascoltare e scaricare i brani del CD “Roma Dream African Drums” su Spotify). Il CD è stato realizzato con la partecipazione speciale di Eumir Deodato e Karl Potter,

foto di Fabrizio Maiorano

I brani: 1) Adouma (A. Kidjo, J. Hébrail) 2) Nakupenda (R.Genovesi, R.Artale) 3) Short conga solo by Ruggero Artale 4) N’Yerebi (Traditional: Guinea) 5) Ghirinbaduè (R. Genovesi, R.Artale) 6) Malaika (F. William)

Band: RuggeroArtale,percussioni/Stefano Cesare, basso elettrico/Roberto Genovesi, chitarra/ El Hadji M’Baye, (Senegal), dun dun/ Bryan Musa (Ruanda/Repubblica Democratica del Congo), voce solista/ Pap Yeri Samb (Senegal), djembè.

Con la partecipazione di Lamine M’Baye e Ismaila Kante, (Senegal): djembè e voce.

Danza Africana con: Daniela Azzarelli, Milena Delogu, Martini Sargentini.

Riprese video e montaggio: Fabrizio Maiorano/Fonica: Erfan Davarpanah/Arrangiamenti e supervisione audio: Roberto Genovesi

di Chiara Merlo

foto di Fabrizio Maiorano